Da cosa nasce cosa (#49/2021)

di Bruno Munari pag. 384 12 Novembre 2021

Saper progettare non è una dote esclusiva ed innata di pochi….

Progettare significa “pensare per poter fare”… e serve per iniziare a risolvere problemi piccoli per poi imparare a gestire problemi sempre più grandi.

Da attività più facili ad attività apparentemente più complesse, il metodo progettuale non cambia molto e ciò che cambiano sono solo le competenze (che ci portano da “assemblare due schede elettroniche in un garage”, a gestire una multinazionale del settore high-tech).

Questo libro non c’entra niente con il management ma c’entra con il metodo progettuale che sta alla base del “management”.. sia esso inteso come “gestione” di un’azienda che come “gestione” della vita privata (perchè in fondo anche se ci piace pensare all’improvvisazione, alle illuminazioni folgoranti ed al facile successo… qualsiasi risultato ragguardevole è frutto di una “progettazione”).

“Da cosa nasce cosa” parla essenzialmente di prodotti a partire dal motivo per cui sono stati creati (“lo scopo”) e dal “problema” che risolvono…. studiando come questo è stato affrontato, per dare vita agli oggetti che usiamo quotidianamente e di cui sappiamo poco o nulla (ma che hanno la forma che hanno, perché qualcuno non solo gli ha ideati ma gli ha anche realizzati e perfezionati in base a criteri ben precisi).

Chi ha particolare propensione ad unire i puntini, troverà in questo libro illuminanti suggerimenti per sviluppare il pensiero laterale e cercare qualche analogia con i propri “problemi” (e su come risolverli).

Chi ha meno fantasia, si arricchirà di aneddoti e curiosità… e capirà perché l’ombrello è l’ombrello, perché la sdraio ha la sua forma e perché “la sedia di Thonet” è diventata uno dei più pratici oggetti d’arte nella storia del design…

Quando un’azienda fa quello che deve fare..

Lavoro stabilmente da casa da quasi 2 anni (in smartworking.. da prima della pandemia)

Più del 50% del mio tempo se ne va in video-call e le cuffie dopo un uso prolungato iniziavano a dare fastidio… (mi scuso in anticipo con chi lavora in un call center..)

Ho comprato su Amazon uno speaker di qualità perché ritenevo che fosse necessario per la mia condizione di ipersensibilità all’udito..

Un collega mi ha detto: ma perché? E’ un tool di lavoro, fai molte call, hai un problema e ti serve… la nostra azienda può rimborsartelo.

Dopo aver riattaccato col collega, ho aperto un “ticket” informatico e dopo due settimane ho ricevuto lo speaker (facendomi rimborsare quello comprato su Amazon).

La sicurezza ed il benessere per la nostra azienda è un valore.

E più che le parole (che a volte si sprecano), lo dimostrano la possibilità di fare due click ed ordinare un tool che serve per lavorare in ergonomia.

Non sempre concordo su come i valori di un’azienda vengono declinati nell’esecuzione .. ma in questo caso la mia recensione a 5 stelle non va su Amazon ma ad un’azienda come Baker Hughes, che “c’è” quando ci deve essere (e che ti salva da una precoce ipoacusia).

Lavorare con gli strumenti adeguati, in tempi adeguati e con uno stato d’animo adeguato è un diritto…

Ed il dovere di ognuno, seppur nelle estreme difficoltà che spesso impongono scelte infelici, è cercare aziende che fanno propri valori irrinunciabili per qualsiasi persona.

Nel rincorrere numeri e profitto… non fare come con la “Ford Pinto”..

Nel 1971, dopo aver perso quote di mercato per l’avvento di auto economiche nel mercato americano, il CEO di Ford Lee Iacocca, si prefisse come obiettivo quello di costruire una macchina di “meno di 1000 chili e meno di 2000 dollari”.

Nacque così dagli sforzi del team di ricerca e sviluppo la “Ford Pinto”.. che rispecchiava esattamente i requisiti stabiliti dal vertice aziendale.

Il problema fu che nello sforzo di realizzare un prodotto economico, gli ingegneri progettarono un sottile serbatoio di benzina collocato a quindici centimetri da un altrettanto debole paraurti posteriore..

Il risultato fu che la Pinto era una leggera ed economica… “bomba incendiaria..”

Gli ingegneri lo sapevano ma andarono comunque avanti per rispettare le direttive aziendali imposte.

La Ford Pinto insegna due cose (una per il CEO ed una per i dipendenti):

  • Mai definire obiettivi che trascurino aspetti importanti di un prodotto (all’epoca della Pinto era la sicurezza… oggi che questa è fortunatamente data per scontata, l’aspetto importante è diventato la “sostenibilità”)
  • Mai eseguire ordini concettualmente sbagliati

Che siamo manager, CEO o impiegati… nella corsa ai numeri è sempre meglio evitare di fare come con la Ford Pinto..

Rivoluzione OKR (#48/2021)

di John Doerr pag. 326 09 Novembre 2021

Quali sono le cose più importanti per i prossimi 3 (o 6, o 12) mesi?

Tutte le organizzazioni, sanno che per avere successo si devono focalizzare su quella manciata di iniziative che possono fare davvero la differenza.

Ma fra la teoria e la pratica c’è spesso una grande differenza generalmente riconducibile a due motivi:

– gli obiettivi di alto livello spesso non sono chiari a tutti quelli che ne sono responsabili;

– anche quando sono chiari il problema non sono sempre allineati al lavoro quotidiano che ogni singola persona svolge.

In quanti conoscono gli obiettivi del proprio CEO?!?

Ed in quanti riescono a collegare in modo immediato quello che fanno quotidianamente rispetto alla direzione che sta perseguendo l’azienda?

Gli obiettivi spesso non penetrano uniformemente la cortina del primo livello dell’amministratore delegato… e quando passano, spesso vengono declinati in obiettivi divisi per funzioni che lavorano a compartimenti stagni.

Finisce che ogni gruppo ha un proprio obiettivo che non sempre converge con quello del collega della porta accanto.. ma come si fa a trovare una soluzione ad un problema che porta a domandarsi se facciamo parte della stessa azienda?

Una possibile soluzione è l’implementazione degli OKR (Objective and Key Results), che stabiliscono un obiettivo (objective) e definiscono tutti i risultati chiave per raggiungerlo (misurabili e monitorabili in archi temporali stretti).

Gli OKR sono individuali ed a livello di gruppo: partono dall’alto ma si devono parlare fra loro e per farlo devono essere discussi a livello di team/funzioni e “concordati” fra le persone in una logica aperta che vede anche il “setting” del risultato come frutto di una condivisione fra tutti i livelli di un’organigramma.

Una delle prime grandi aziende ad implementare gli OKR 20 anni fa è stata Google (sulla scorta di quello che aveva fatto Intel 20 anni prima)…

Come tutte le metodologie, gli OKR non sono “LA” soluzione… ma sono figli di una “filosofia di principi”, che costituisce l’ossatura delle aziende moderne… e questo è già un buon motivo per approfondirli..

Parlare in pubblico non è difficile se sai come fare (#47/2021)

“Non esiste nessun altra dote, fra quelle che una persona può avere, che gli faccia fare una carriera così rapida e gli garantisca tanti riconoscimenti come l’abilità di parlare” (Philip Danforth Armour).

L’abilità nella comunicazione fa la differenza fra essere “convincenti” (in base ai contenuti) ed essere “intimamente convincenti” (aggiungendo personalità, carattere e stile).

Ottime doti di leadership passano da una comunicazione eccellente, frutto di doti innate ma anche di allenamento, esperienza e pratica.

Parlare con gli altri è teoricamente la cosa più naturale del mondo ma saperlo fare bene, include la piena padronanza di molti elementi (linguaggio verbale, paraverbale e non-verbale), da modulare in base alle circostanze, alle modalità ed al pubblico di riferimento.

Per riuscirsi in modo efficace non importa quanto un manager, un politico, un presentatore o un giornalista sia brillante e preparato: servono tecniche e competenze specifiche per riuscire ad andare oltre il “cosa dire” ed esplorare la dimensione del “come”.

Questo libro è una guida alle tecniche oratorie di base, utili per qualsiasi persona debba relazionarsi con gli altri (durante riunioni, meeting, conferenze o eventi in pubblico).

Tutti i più grandi leader della storia sono stati grandi comunicatori ed hanno dimostrato quanto forte sia il legame tra lo stile di leadership e la modalità comunicativa.

Del resto.. “parlare può trasformare le menti, che possono trasformare i comportamenti, che possono trasformare le istituzioni”.. (Sheryl Sandberg)

Come combattere la procrastinazione tirando i dadi

La procrastinazione è frutto di scelte consce su cosa “rimandare”.

Nel 1971 uscì un romanzo dal titolo “l’uomo dei dadi”… che raccontava di come il protagonista usasse i dadi per prendere qualsiasi decisione.

Tirare i dadi può sembrare un’idea bizzarra ma è sempre più efficace di una non-azione.

Che siate un impiegato o un dirigente, qualunque persona tende a preselezionare gli impegni in maniera non cosciente… lasciando indietro cose che poi si accumulano e costituiscono un problema (ed un enorme dispendio di energie).

Se si fanno un elenco di 6 cose da fare e poi si tira un dado imponendosi di fare la cosa corrispondente al numero che esce, non è più possibile procrastinare.

Si narra che in passato, i dadi siano stati utilizzati da qualche innovatore seriale per stabilire le priorità sulle idee da sviluppare o sui progetti da realizzare…. e sicuramente ci sarà qualche statistica su come talvolta prendere una decisione affidandola al caso sia più efficace di una decisione intenzionale (e sicuramente di una non-decisione).

Per chi ha tanti progetti e non riesce ad applicare la regola di Pareto, questo può essere un modo per fare selezione.. in un modo “semplice come tirare un dado”..

“Assumi per cultura, educa per le competenze”

“Assumi per cultura ed educa per le competenze”..

E’ un famoso motto di “Spotify”, azienda leader nel settore dello streaming musicale..

Se è vero che le competenze si possono imparare, un po’ più difficile è modificare quello che si è (ovvero la propria “cultura”).

Il curriculum spesso conta meno della personalità… motivo per cui si dovrebbe assumere un candidato prima per le sue attitudini (per poi concentrarsi, solo successivamente, su talenti, qualifiche ed abilità).

A tal proposito è simpatico un aneddoto del fondatore di Atari Nolan Bushnell che faceva recruiting per le sue aziende anche al ristorante o al supermercato: cercando persone tecnicamente preparate ma anche piene di passione per quello che facevano e con un’attenzione particolare per il servizio e la clientela.

Diceva: ” se vi aspettate di vedere solo una cameriera, vedrete solo quello… se invece in ogni persona cercate le potenzialità, vi si spalancheranno un mondo di possibilità”.

Bushnell dava poca importanza alle esperienze ed alla forma concentrandosi su attitudine e sostanza..

..e non doveva avere tutti i torti visto che, grazie a questo modo di vedere le cose, negli anni ’70 assunse un maleodorante e malvestito diciottenne che qualche anno dopo fece nascere “Apple”..

POST- POST

Questo vale anche quando un candidato cerca un’azienda per il quale il detto potrebbe trasformarsi in “cerca un’azienda per la sua cultura e non per le sue competenze”: quando si cerca un’azienda, prima del suo “blasone” (o delle competenze per cui è conosciuta), sarebbe sempre opportuno verificarne la missione e la cultura che sta dietro il modo di fare business.

Il curriculum di un candidato o il blasone di un’azienda sono sempre e solo un biglietto da visita… poi c’è la sostanza (che spesso è un’altra cosa).

bibliografia: #44/2021

Quanto costa la gerarchia..

Due trilioni di dollari ogni anno (solo negli Stati Uniti)

Sono i dati di uno studio di Gary Hamel (professore americano) sugli effetti di burocrazia e gerarchie.

Nelle aziende più grandi ci sono in media otto livelli di gestione che portano ad una comunicazione difficoltosa ed a comportamenti che favoriscono logiche feudali.

Con la stratificazione, ogni dipartimento o funzione è un silos valutato in base alle proprie prestazioni anziché in base all’unica entità che paga: il cliente..

In una struttura tradizionale la maggior parte degli sforzi vanno in “coordinamento” (riunioni, reporting ed aggiornamenti per allineare tutti i livelli dell’organizzazione in modo diverso a seconda dello “strato” di appartenenza): una ricerca dell’università del Nebraska ha stimato che un dipendente medio partecipa a 6 ore di riunioni a settimana mentre per i manager i dati salgono ad almeno 23 ore (entrambi sono dati “medi” che si impennano vertiginosamente all’aumentare dei livelli presenti nell’organigramma).

La dolorosa conseguenza è che, solo negli Stati Uniti, si sprecano più di 200 miliardi di dollari (equivalenti alla spesa pubblica annua di un paese come la California) … un bel po’ di soldi che potrebbe essere impiegato in modo più efficiente

Quanto costa la gerarchia?

Un sacco di soldi..

Nelle aziende più grandi ci sono in media otto livelli di gestione che portano ad una comunicazione difficoltosa…

In una struttura tradizionale la maggior parte degli sforzi vanno in “coordinamento” (riunioni, reporting ed aggiornamenti per allineare tutti i livelli dell’organizzazione): il tutto per almeno il 50% della giornata lavorativa di un impiegato/quadro/manager..

A questi costi sono da aggiungere le inefficienze di un sistema che rallenta il processo decisionale in un mondo in cui la velocità può tagliare fuori dal mercato colossi interi..

Quelle meravigliose strutture che ha consentito ottimi risultati fino a qualche decennio fa hanno un costo enorme, specialmente se confrontato con la scarsità di risorse odierna.

Da uno studio di Gary Hamel (fonte: corporate rebels), la cifra stimata per inefficienza dovuta ad eccessiva gerarchia è paragonabile alla spesa pubblica annua di un paese come la California… (circa 200 miliardi di dollari.. solo negli Stati Uniti).

Se non viene invertita la tendenza, eliminando livelli gerarchici e velocizzando i processi di comunicazione, è abbastanza naturale che le multinazionali possano venir inghiottite da start-up organizzate su concetti più moderni..

Qualcosa a cui pensare quando si organizza la prossima “riunione di coordinamento”..

bibliografia: #44/2021

Come stimolare la creatività in azienda con le 3 B (e lo smartworking)

“Bus, Bath and Bed sono tre posti dove spesso si presentano le intuizioni creative” (G.W. Kohler, psicologo, durante una lezione tenuta nel 1969)

Sull’autobus (BUS), il matematico H. Poincarè arrivò ad una delle sue più importanti scoperte.

A letto (BED) il chimico F.A. Kekulè sognò il legame tra gli elettroni nella molecola di benzene.

In bagno (BATH), Archimede scoprì la fisica del galleggiamento (Einstein stesso disse che le sue idee migliori gli venivano mentre si faceva la barba e che doveva stare molto attento perché quando veniva colto da illuminazione improvvisa rischiava di tagliarsi).

Aneddoti a parte, non è una novità che spesso sia sufficiente far lavorare le persone in ambienti insoliti per stimolare creatività ed innovazione (motivo per cui molte start up moderne hanno luoghi pieni di oggetti strani e favoriscono le attività all’aperto).

Non è altresì una novità che le prestazioni e le migliori idee vengano in momenti diversi della giornata (non necessariamente in fascia 9-18)

Come direbbe Nolan Bushnell (che con ATARI “inventò” il settore dei videogiochi negli anni ’70): “Se volete innovare, non obbligate i vostri dipendenti a starsene tutto il giorno alla scrivania”…

Bushnell fu il primo datore di lavoro di Steve Jobs (che lavorava in un turno di notte inventato appositamente per lui) e 50 anni fa fu fra i pionieri della settimana corta (organizzando feste il venerdì pomeriggio) e dello smartworking (facendo lavorare i dipendenti dove e quando volevano)…

Come risultato ottenne una delle organizzazioni più innovative dell’epoca… trasformando una piccola azienda in una multinazionale a diversi zeri.

Aristocrazia 2.0 (#46/2021)

di Roger Abravanel pag. 340 30/10/2021

Dalla Silicon Valley al Nord Europa passando per i giganti cinesi: tutte le società che stanno cavalcando l’innovazione per generare crescita economica, hanno legato la valorizzazione del capitale umano e la meritocrazia ai fondamenti della propria cultura… a volte in modi diversi ma mettendo sempre al centro l’etica dell’impegno, della selezione e dell’istruzione.

Ed in Italia?

L’Italia ha girato alle spalle alla meritocrazia vera in quanto culturalmente poco convinta che il concetto stesso di meritocrazia potesse passare da una sana competizione prima nelle scuole, poi nelle università ed infine nelle aziende.

Un paese, il nostro, convinto che il debole debba essere aiutato a tutti i costi e che il forte è lì per aver infranto le regole (in un sistema talmente complesso da rendere i comportamenti virtuosi poco convenienti).

Un sistema aziendale di micro-imprese che non riescono a diventare “grandi”… in sistemi organizzativi in cui la parità di genere diventa una questione di etica e non di logica, perseguita per rimediare ad un danno fatto in precedenza e non per migliorare il governo delle imprese grazie all’aumento del bacino dei talenti a cui accedere (e della diversificazione delle competenze che una maggior equità nei consigli di amministrazione può apportare).

Il tutto condito da una mancanza di ambizione generalizzata che da una parte è causata dalla sfiducia nel sistema e che dall’altra porta a confondere il concetto di eccellenza con il “fare bene il proprio dovere”.. spingendo al ribasso le prestazioni ed accontentandosi di una mediocrità che difficilmente può sfornare talenti veri o aziende in grado di competere con le “big tech” americane…

Aristorazia 2.0 è un libro sulla genesi della nostra élite intellettuale, sul nostro nanismo imprenditoriale (fatto di eccellenze piccole che però non sono in grado di crescere a livello globale) e sulla nostra cultura industriale.

Un mix fra considerazioni storiche, sociologiche e culturali che fanno riflettere sui cambiamenti che ci aspettano per provare ad invertire la tendenza e tornare a ricoprire un ruolo di peso nel panorama internazionale.