
“Non ho tempo” è una grossa bugia…
“Non ho tempo per le cose che non mi interessano” è invece una grande verità.
Chi dice di non avere tempo mente agli altri ma soprattutto a se stesso…
…perché se abbiamo ben chiare quali sono le nostre priorità, il tempo diventa un concetto “relativo” che può contenere tutto quello che vale la pena farci stare dentro.
Spesso inseguiamo eccessivamente la materialità in una corsa infinita in cui il tempo non è mai abbastanza… dimenticandoci che, fra tutte le risorse disponibili (materiali e non), “il tempo è quella più preziosa che l’uomo può spendere” (cit. Teofrasto)
PS: questo testo definito dal new York Times “il miglior libro sul time management”, non parla dell’uso ottimale del tempo ma parla di come rendere il tempo “significativo”, abbracciando i propri limiti e lasciando andare l’illusione di controllare tutto per concentrarsi su ciò che conta davvero.
Attiva per visualizzare un’immagine più grande,

Immagina (#40/2023)
Ci sono mestieri che mettono al centro creatività ed immaginazione per costruire scenari ipotetici per migliorarne la previsione sul futuro.
Sembra fantascienza ma non lo è; sono i “futurologi”: persone che in modo strutturato “giocano” con l’immaginazione per creare potenti strumenti predittivi, prepararsi a qualunque imprevisto e immaginare scenari come quella di una guerra globale o della prossima “grande crisi” mondiale.
Immaginare vividamente possibilità anche remote, aiuta a sviluppare la creatività, permette di affrontare meglio le sfide conferendo una maggiore padronanza delle proprie risorse e preparandosi a gestire situazioni ignote.
Il futurismo contribuisce anche a sviluppare l’agentività ovvero la capacità di generare azioni indirizzate a determinati scopi e/o obiettivi, plasmando il mondo in cui vogliamo vivere.
In “immagina”, l’autrice (che durante una simulazione nel 2010 aveva predetto con estrema precisione scenari simili a quelli effettivamente verificatisi con la pandemia COVID-19) condivide ricerche e studi che attingono alla psicologia e alle neuroscienze, rivelando strategia e giochi efficaci per allenare la nostra mente a “immaginare l’inimmaginabile”, preparandola per quando succederà qualcosa che ancora non possiamo prevedere.
“Jane McGonigal è incredibilmente abile ad anticipare eventi che la maggior parte di noi non riesce nemmeno a immaginare. Vi insegnerà ad estendere la vostra visione periferica e la vostra immaginazione verso il futuro” (Adam Grant autore di “essere originali”, “pensaci ancora” e “give and take”)
“In Immagina, Jane ci insegna a portare un’immaginazione vivace ed entusiasmate nelle nostre vite quotidiane. Le tecniche che imparerete da questo libro , che poggiano su solide basi scientifiche, cambieranno la vostra vita aiutandovi a scegliere il vostro futuro e a sentirvi più in controllo rispetto a ciò che deve ancora accadere” (Nir Eyal: autore di “indistraibili e “hooked”)

La leadership resa semplice (#39/2023)
La leadership è una cosa semplice ma non è facile metterla in pratica.
Richiede coraggio e la capacità di prendere decisioni in tempi rapidi e con grande lucidità.
Presuppone l’avere salde linee guida morali ma anche la capacità e la flessibilità di adeguarsi al contesto, mantenendo la barra dritta senza farsi influenzare dalle pressioni o dalle aspettative degli altri.
Implica coerenza, giorno e notte: è fatta di slogan ispirazionali ma anche di azioni in linea con quanto viene dichiarato (perchè come dice un famoso detto: “puoi dire ciò che vuoi ma sei quello che fai”).
Il suo esercizio efficace passa dal lavoro di gruppo e dal mettersi al servizio degli altri, ma anche dalla capacità di vivere “lunghi inverni” in solitudine e prendere decisioni impopolari.
Racchiude in sé tratti apparentemente contrastanti:
– essere un modello di ispirazione senza creare “dipendenza”;
– stimolare azioni rapide ma concedere alle persone il tempo di riflettere e quello di sbagliare;
– saper indicare una strada ma di lasciare che siano gli altri a sentirsi liberi di intraprenderla;
– essere determinati ma creare attorno a sè un clima di sicurezza psicologica;
– apparire fermi ma mostrare la propria vulnerabilità;
– relazionarsi con tutti ma essere contemporaneamente capaci di isolarsi per non essere distratti dal “fare la cosa giusta” (che, come dice l’autore di questo testo, “non è mai opinabile, anche quando sembra che lo sia…”).
In questo libro dell’ammiraglio McRaven (già autore del bestseller “rifatti il letto”), ci sono moltissimi spunti di saggezza: motti, aneddoti e linee guida mutuate dall’esperienza nel corpo speciale dei SEALs e utili per chiunque ricopra (o ambisca a ricoprire) posizioni di leadership.

Prima regola non spammare…
Lavoravamo su un progetto da 1,5 miliardi di euro per la costruzione di 50 treni Frecciarossa 1000 per Trenitalia S.p.A. e il contratto che gestivamo come “mandataria” coinvolgeva una quantità enorme di stakeholders.
Dal mio capo dipendeva una struttura di centinaia di persone, ma lui scriveva e faceva meeting raramente.
Non aveva bisogno di controllare: di base si fidava di quello che facevamo ed evitava di inviare centinaia di mail o di organizzare riunioni inutili.
Era riuscito a creare un ambiente dinamico in cui ti sentivi coinvolto e parte di un “team” che lavorava per un obiettivo ambizioso.
Aveva tutto sotto controllo e adottava la strategia di farsi sentire poco e nei momenti giusti creando un effetto aspettativa : le poche mail che inviava, non solo venivano lette da tutti con la massima attenzione ma tutti facevano il possibile per rispondere velocemente.
Non per paura, non per stress ma per quelli che gli inglesi chiamano “committment” (in italiano niente altro che la “voglia di lavorare con passione”).
Ho avuto la fortuna di stargli a fianco in un periodo non proprio felice della mia carriera professionale, ma da lui ho imparato come si gestiscono centinaia di persone che lavorano a un progetto complesso.
Soprattutto ho imparato che se vuoi persone veramente “coinvolte”, devi costruire un ambiente di fiducia e rispetto in cui quando entri dalla porta, “immetti energia positiva” e una forte carica emotiva.
Per farlo, la prima regola d’oro è “non spammare” di mail, riunioni e allarmi inutili che invece di “immettere energia”, spesso finiscono per toglierla…. a volte irreversibilmente.

Se vedi competitor e nemici dappertutto, allora vuol dire che non stai innovando davvero…
Spesso consiglio post di persone o aziende che fanno coaching, formazione o consulenza e che teoricamente sono dei competitor.
Se “rubi” un mio contenuto non mi offendo purchè tu lo faccia come suggerisce Austin Kleon in “ruba come un’artista” (mettendoci qualcosa di “tuo”).
Ma non è sempre stato così: c’è stato un tempo in cui tenevo molto a proteggere il mio orticello, i miei “contenuti” e la mia “proprietà intellettuale”.
Poi le cose sono cambiate: ho iniziato a lavorare sui miei tratti distintivi, cercando un posizionamento unico.
Grazie a esperienze dirette o indirette con aziende e persone veramente “innovative”, ho capito che l’unico modo per differenziarsi davvero, parte dalla propria unicità e dalla capacità di prendere il meglio di ciascuno per portarlo in quello che facciamo.
Ispirarsi agli altri creando contenuti propri e lasciare che gli altri facciano lo stesso, aiuta a concentrarsi sull’obiettivo di “essere originali” (come suggerisce Adam Grant nell’omonimo best seller) e a fare sempre cose nuove.
E’ il passaggio dalla “competition” alla “coopetition”: qualcosa che alcune aziende stanno sperimentando per fare network e muoversi sulla cresta del cambiamento e dell’innovazione (negli States è partita Nike col progetto “Green X” mentre in Italia stiamo assistendo a partnership fra aziende storicamente in conflitto).
Collaborare con gli altri serve a creare una comunità in cui ci si ispira vicendevolmente creando sinergie e relazioni di lungo termine che servono per migliorare, innovare e vendere meglio il nostro prodotto o il nostro servizio.

Credere in se stessi è fondamentale…nella giusta misura.
Molti leader ci credono troppo, altri ci credono poco.
I primi soffrono dell’effetto Dunning Kruger (credono di essere più intelligenti di quanto non siano realmente), i secondi della sindrome dell’impostore.
Credere in se stessi nella giusta misura significa essere consapevoli dei propri punti di forza e farne un cardine per le proprie attività.
È un percorso lungo che non si raggiunge in un giorno ma che “è uno dei mattoni più importanti nella costruzione di ogni impresa di successo”… anche quando “l’impresa” siete voi.

Se cercate un talento per un’azienda innovativa, non guardate a quanto una persona è coscienziosa…
Ci sono cinque fattori di personalità che spesso sono usati per fare recruiting e per individuare i tratti caratteristici di un candidato.
Sono: nevroticismo, estroversione, apertura all’esperienza, gradevolezza e coscienziositá.
Generalmente, per lavori “standard”, la coscienziositá (ovvero la capacità di autocontrollo, l’affidabilità e il senso del dovere) è uno degli aspetti più richiesti e desiderabili.
Per la maggior parte dei lavori, la capacità di essere “coscienziosi”, è un fattore predittivo importante…
Ma non per lavori in cui c’è bisogno di talenti puri.
I talenti sono poco coscienziosi, non perché non abbiano un alto senso del dovere ma perché la loro genialità si porta inevitabilmente dietro la tendenza a uscire dal selciato.
Elon Musk non sarebbe stato un dipendente modello…
Le sue uscite (compresa quella di fumarsi uno spinello durante il podcast di Joe Rogan) sono “poco coscienziose”…
Ma un Elon Musk più moderato non avrebbe creato Tesla, Space X, Neuralink e Boring Company.
A volte i leader e i talenti sono persone cui tocca infrangere, o almeno forzare, le regole… Ed essere “coscienziosi” è un’ottima cosa per lavori standard, ma difficilmente è un fattore che porta a fare salti significativi verso qualcosa di innovativo..

Attenzione all’effetto “Bozo” in azienda..
L'”Effetto Bozo” è un concetto coniato da Steve Jobs, co-fondatore di Apple, per descrivere gli effetti negativi di una gestione incompetente.
“Bozo” era un clown diventato un’icona popolare in America fra gli anni ’50 e gli ’80: Jobs lo usava per identificare tutte le persone che avevano alte responsabilità ma scarse competenze (e che lui considerava, con la sua scarsa diplomazia, “clown aziendali”).
Jobs ebbe la prima esperienza “traumatica” con i “Bozo” quando fu licenziato dai membri del consiglio di amministrazione che lui stesso aveva contribuito a nominare (che decisero di “farlo fuori” nonostante fosse il proprietario dell’azienda e la persona più competente del board).
Da allora avrebbe menzionato più volte questo nomignolo nel corso del suo secondo mandato, per ricordarsi di non mettere più “Bozo” a prendere decisioni.
Come è successo in Apple, spesso accade che i “Bozo” cerchino di “eliminare” i propri competitor per una questione di sopravvivenza e perché mal tollerano di lavorare con professionisti migliori di loro.
L’effetto Bozo è pertanto deleterio perché diminuisce enormemente la qualità dei professionisti nelle posizioni apicali di un’azienda (le persone veramente capaci, prima di farsi “eliminare”, cercano sempre alternative migliori di quelle di essere circondati da “Bozo”).
Cercare persone migliori di noi è in genere un buon modo per evitare i “Bozo” (e per non esserlo a nostra volta): non a caso lo stesso Steve Jobs era solito enfatizzare molto l’importanza di lavorare con persone più competenti…
P.S.: se non siete “Bozo” e avete alte competenze in ambito di formazione (da spendere a favore della collettività), la tenda di NeNet è aperta.

La rivoluzione a piccoli passi..
Da quelle che possono sembrare “persone di successo” ho capito tre cose:
1) Mediamente si può essere “di successo” solo in una sfera o al massimo due della propria vita;
2) Il successo in una sfera costa tantissimo e spesso porta a grosse mancanze in tutte le altre;
3) Nessuno è mai riuscito ad arrivare al successo utilizzando scorciatoie (o facendo grandi salti).
Le lezioni che si possono ricavare:
– il successo non è mai univoco (quello che guardiamo degli altri è sempre e solo un aspetto);
– eccellere anche solo in un ambito, comporta sforzi e sacrifici enormi in tutti gli altri;
– i risultati sono sempre frutto di piccoli passi fatti con costanza e ripetuti innumerevoli volte (durante i quali non mancano cicli di regressione).
Quando ci ispiriamo a modelli che sembrano “di successo” è bene ricordarsi che niente è come sembra, che la narrativa è spesso distorta e che il concetto di successo stesso è relativo.
Quella che a noi sembra una rivoluzione è in realtà un’evoluzione che si fa solo “a piccoli passi”, in un percorso lungo ed estenuante fatto di piccole cose che, negli anni, possono fare la differenza..

“Così bravo che non potranno ignorarti”…
La maggior parte delle persone vivono in ambienti in cui si sentono sottostimate: contesti in cui spesso c’è l’abitudine a mettere l’accento più sulle cose che non vanno che su quelle che vanno e in cui il “sei bravo MA..” o il “potresti fare di più” sono all’ordine del giorno.
Sono posti in cui il potenziale non viene capito o considerato, spingendo le persone a un bivio in cui o si esce o si cerca di “diventare talmente bravi da non poter essere ignorati”.
Il titolo di questo libro di Cal Newport, è un’esortazione a continuare a formarsi, crescere, imparare e costruire un capitale di competenze.
Perché quando diventi talmente bravo da “non poter essere ignorato”, poi va a finire che non ti curi neanche più di chi lo fa… e questo è un vero e proprio lasciapassare per la felicità.
Grazie a Michele Riva per avermi regalato un testo che devo ancora leggere in italiano.. ma che ha ispirato qualcosa da inserire nelle #conversazioniestive promosse dalla redazione di LinkedIn Notizie.
PS: dello stesso autore, suggerisco anche “Deep work” (su concentrazione, gestione del tempo e produttivá)