Chi sarà il prossimo Steve Jobs? (#43/2021)

di Nolan Bushnell pag. 234 01 Ottobre 2021

Il punto non è cercare talenti, il punto è fare in modo che i talenti vengano da te…

In due righe questo è il concetto cardine attorno a cui Nolan Bushnell, primo datore di lavoro di Steve Jobs e padre dei videogiochi, ha fondato Atari (antesignana del settore dell’intrattenimento digitale).

In 50 “pong” (come definisce lui i “consigli”), Bushnell svela come creare un’organizzazione radicalmente innovativa… in cui i talenti sono naturalmente attratti ed in cui non c’è bisogno di particolari campagne di recruiting.

Un libro illuminante scritto da chi ha permesso che il “think different” generasse prodotti incredibili, applicando il concetto prima di tutto nell’ambiente di lavoro.

Sarebbe lungo elencarli tutti.. ma fra i suoi “pong” per creare ambienti realmente “diversi” (e fare in modo che i talenti facciano la fila davanti alla porta):

  • Create un ambiente di lavoro in cui sia eccitante lavorare
  • Cercate passione ed entusiasmo
  • Ignorate i titoli di studio, fate domande strane e scoprite gli hobby
  • Evitate i cloni e scegliete persone odiose o fuori di testa (Steve Jobs lo era..)
  • Trovate i bistrattati e difendete l’equità
  • Setacciate i tweet ed entrate nelle community creative
  • Istituite un certo grado di anarchia
  • Trattateli da adulti (uno dei miei preferiti)
  • Create spazi creativi, cambiate ogni giorno
  • Non seguite (sempre) le procedure e “non contate sui contabili”
  • Mescolate le carte
  • Andate a dormire…

L’ultimo sarebbe stato.. “stay hungry stay foolish” (ma è venuto solo molti anni dopo…)

Guida per riunioni efficaci (ove proprio necessarie)

INTRO

Andiamo dritti al sodo: le riunioni sono troppe, troppo lunghe, con troppi partecipanti ed inconcludenti.

Uno dei problemi principali è che nessuno ci insegna a lavorare in gruppo ordinatamente… chiamiamo una riunione pensando erroneamente che “pianificarla nel calendario” significhi “pianificarla” (ovvero dargli anche una “progettualità”… in modo che allo scadere del tempo si sia arrivati ad una conclusione pratica senza la sensazione di aver perso un sacco di tempo).

Scambiare il “mettere uno slot in calendario” con “progettare accuratamente una riunione” è l’errore più comune che viene fatto e che, moltiplicato per decine di persone, crea un dispendio enorme… non solo nelle “energie” fisiche dei singoli (stress e stanchezza), ma anche in termini di costi  per l’azienda (costo orario dei partecipanti per numero di partecipanti per durata).

Riunioni non pianificate e non eseguite correttamente creano un sacco di pasticci ed effetti collaterali… non ultimo il fatto che dopo 8 ore di meeting (noiosi e spesso con scarso valore aggiunto) spesso dobbiamo ancora iniziare a lavorare…

PERCHE’ QUESTE RIGHE

Le riunioni inefficaci sono illogiche, errate, poco produttive e costose… e sono un completo “non-senso” (o un “lose-lose” per chi è avvezzo a termini più “manageriali”).

In questa guida troverete consigli ovvi ed al limite del banale… applicando i quali però risparmierete e farete risparmiare un sacco di tempo.. contribuendo a costruire una cultura più efficiente, meno dispersiva e più “sana” all’interno della vostra organizzazione.

COME E’ STRUTTURATA QUESTA GUIDA..

Per questioni pratiche, dividerò queste poche righe in quattro parti:

  • Parte zero: Capire quali sono i principali problemi delle riunioni
  • Prima parte: Come fare per organizzare riunioni efficaci
  • Seconda parte: Come fare per declinare riunioni inefficaci
  • Terza parte: Come fare per creare ambienti più produttivi, lavorando di più e facendo meno riunioni (suggerimenti creativi per manager ed aziende)

Dal momento che ognuno di noi sarà già iper-efficientissimo (parliamoci seriamente: nessuno ammetterebbe mai di organizzare riunioni inefficaci..), la prima parte è la meno interessante e se pensate di essere già intrinsecamente efficienti, potete passare direttamente alla seconda.

La seconda parte, è quella a maggior valore aggiunto.. la maggior parte di noi “subisce” riunioni organizzate da altri: capire come declinare con stile ed eleganza una riunione è fondamentale per guadagnare tempo, settare i confini ed evitare che gli altri diventino padroni della nostra agenda lavorativa (costringendoci a togliere tempo per cose più importanti).

La terza parte contiene riflessioni, considerazioni ed opzioni creative che possono essere cestinate o utilizzate a seconda del campo di applicabilità e del margine di manovra che avete nella vostra organizzazione.

0 Parte zero: i principali problemi delle riunioni

Perché facciamo quello che facciamo? Il primo vero problema delle centinaia di ore perse in riunione è che ragioniamo per schemi…

Ormai siamo talmente abituati alle riunioni che nemmeno ci facciamo più caso: non facciamo caso al tempo che sottraggono, alla frustrazione che ci inducono ed a quel senso di spossatezza che non solo si riflette sulle nostre prestazioni a lavoro ma che incidono sull’umore e sul nostro rientro a casa.

Consideriamo le riunioni parte del lavoro (a volte neanche la più noiosa): un male necessario a cui doversi per forza sottoporre per giustificare il nostro stipendio o la nostra incapacità di “fare le cose diversamente” (perché magari sottoposti al dogma “abbiamo sempre fatto così”).

Ma se vogliamo migliorare, efficientare e guadagnare tempo dobbiamo innanzitutto cambiare approccio… e chiederci sempre se quello che facciamo e come lo facciamo ha senso, è utile o produce risultati.

Ultimo ma non ultimo: se anche veniamo “pagati” per fare riunioni, “ il tempo è tempo”: e come lo impieghiamo determina anche chi siamo e come stiamo al mondo..

Ogni dipendente vuole evitare di annoiarsi, di perdere tempo e di stressarsi à ognuno di noi ha la possibilità e la capacità di decidere come passare il proprio tempo e come efficientarlo per fare spazio a cose più importanti (anche sui luoghi di lavoro).

Ma prima di vedere come “rompere gli schemi” (cosa a cui è dedicata la seconda parte), vediamo prima dal punto di vista pratico perché le riunioni sono così inefficaci.

Le riunioni sono inefficaci principalmente perché:

  1. Non  c’è un’agenda con argomenti chiari su cui discutere
  2. Non ci sono obiettivi chiari da perseguire per ogni punto da discutere
  3. Vengono coinvolti i partecipanti sbagliati (che sono troppi o troppo pochi)
  4. Sono troppo lunghe (troppi argomenti o troppe persone che intervengono senza freni)
  5. Non c’è un leader che le gestisce mentre si svolgono
  6. Non vengono stabilite azioni con tempi e responsabilità definite che poi generano azioni risolutive

In una parola sola: sono inefficaci perché mancano di progettualità (punti 1,2,3 e 4) e di una buona esecuzione (punti 5 e 6).

Nella parte che segue ci sono alcune “regole” per una buona progettazione ed una buona esecuzione.

1 Prima parte: Come fare per organizzare riunioni efficaci

Come anticipato questa è la parte più noiosa.

Le riunioni vanno innanzitutto divise fra riunioni formative, informative, decisionali (relative ad un argomento specifico) o periodiche.

Non mi addentro dentro le differenze altrimenti dovrei scrivere un libro: mi limiterò ad indicare i principali consigli che valgono per le ultime due categorie (che rappresentano percentualmente la maggior parte delle riunioni che si tengono in un’azienda).

Abbiamo detto che ci sono due fasi fondamentali: la progettazione e l’esecuzione (non vi spaventate dalle parole: sarò molto breve a discutere sia della prima che della seconda)

1.1 PROGETTAZIONE

Non ci sono regole auree ma più vi attenete a quanto sotto (con le dovute eccezioni qualora la tipologia di argomento o riunione le richieda), più riuscirete ad essere efficaci ed a salvare il tempo.

1.1.1 REGOLA UNO: domandarsi se serve

La riunione serve? E’ davvero necessaria? Posso ottenere l’obiettivo diversamente (magari con un paio di telefonate)?

Se la riunione non serve, non è utile o rischia di portare più perdita di tempo che benefici allora non la fate.

Banale? Forse… ma tante persone non se lo chiedono (ed ecco perchè la inserisco come regola NUMERO UNO!)

1.1.2 REGOLA DUE: stilare la lista degli argomenti

Ovvero, semplicemente, fare un’agenda.

Abbiate un’idea chiara di quello di cui volete parlare e delle persone da coinvolgere (stabilendo a priori cosa volete da loro), mettetela giù in forma scritta pensando che ogni argomento dovrà avere azioni e tempi definiti.

Una volta buttato giù “l’ordine del giorno” con una prima idea delle tempistiche per ogni argomenti, è buona prassi condividerlo con i partecipanti..in modo da ricevere feedback e coinvolgerli prima della riunione.

Ogni partecipante deve essere funzionale all’agenda… sempre e comunque (se non lo è vuol dire che non serve… e quindi fategli la cortesia di non invitarlo)

1.1.3 REGOLA TRE:  stabilire la durata ed il numero di partecipanti

Durata:

La durata è ovviamente funzione dei punti in agenda… non c’è una regola ma buona prassi vuole che un tempo ragionevole in cui captare l’attenizone dei partecipanti sia compreso grossomodo fra i 30 e 45 minuti (io sceglierei sempre 30 minuti… ma dipende sempre dal contesto e dagli argomenti).

Per argomenti specifici che riguardano 3 o 4 persone a volte bastano anche 15 o 20 minuti.

Per argomenti che coinvolgono più di 4 persone si va oltre.

TIPS sulla durata: Se vi date un’ora di tempo, ci metterete un’ora  e se ve ne date due ce ne metterete due… per questo consiglio di stare sempre nel limite inferiore del tempo che stimate (servirà per essere più produttivi). Se avete ansia che il tempo non basti, datevi un obiettivo di XX ed aggiungete 10 minuti di “buffer” (se poi vi avanzano andate a prendervi un caffè o fate un po’ di “networking”).

Importante: è sempre l’agenda che guida la durata del meeting e non viceversa: se si finisce prima della durata prefissata, si chiude la riunione (punto!)

Numero di partecipanti: 

anche qui non c’è una regola ma la durata è funzione del numero di argomenti e generalmente il numero di argomenti influisce sul numero di partecipanti…. semplice.

Il buon senso vorrebbe che fossero generalmente dai 4 ai 6 per poter “gestire” la riunione, far sì che nessuno si addormenti e che tutti possano intervenire  per discutere sugli argomenti, trovare azioni da fare e lasciarsi con quella sensazione di essere stati produttivi.

Considerate che in una buona riunione ciascuno dei presenti dovrà riuscire a tenere l’attenzione per tutto il tempo… il che vuol dire che deve essere coinvolto direttamente ed in prima persona (se invitate 20 persone vi sfido a verificare che questo avvenga ma se ci riuscite la prossima volta vengo a prendere appunti da voi!)

La regola è quella dell’engagement (o “ingaggio”): la durata deve essere tale da tenere ingaggiati i partecipanti e l’obiettivo (oltre a quelli operativi definiti nell’agenda) è che nessuno si senta escluso, annoiato, frustrato.

1.1.4 REGOLA QUATTRO: prepararsi

Una volta stabilito tutto preparatevi…

Un suggerimento è condividere l’agenda, coinvolgendo i partecipanti e ricevendo feedback su argomenti e durata (so che l’ho già detto ma è bene rimarcarlo).

Se è previsto del materiale, inviatelo prima: consentirete agli altri di darvi dei feedback e di prepararsi (se non lo faranno poi non potranno lamentarsi sul risultato).

E’ sempre buona prassi coinvolgere chi deve stare in riunione: alla fine saranno le persone che “dovranno fare qualcosa” e se quel qualcosa è già un po’ chiaro prima di discuterlo ne guadagnerete in tempo ed efficacia (anche questo è stato già detto)..

1.2 ESECUZIONE:

1.2.1 REGOLA UNO:

Attenetevi all’agenda ed alle tempistiche

Se qualcuno sfora stoppatelo e ditegli che approfondirete separatamente (cosa che è sempre possibile senza organizzare un altro meeting visto che spesso chiarimenti ed approfondimenti provengono da una persona sola).

Se siete l’organizzatore della riunione avere l’onere e l’onore di “dirigere” la riunione ivi compresi argomenti e relativi tempi. Dovrete gestire l’esecuzione…

FAQ:

  • cosa succede se qualcuno fa domande che necessitano di risposte ma che sforano i tempi? Rimandate a dopo i chiarimenti a meno che non siano fondamentali per smarcare il punto o a meno che coinvolgano più persone (in tal caso ripianificate un approfondimento con le persone interessate);
  • Cosa succede se trovate il logorroico di turno? Gli ricordate che vi dovete attenere scrupolosamente all’agenda ed alle sue tempistiche… e che sarete disposti ad ascoltarlo in un secondo momento (ricordandogli che dovete dare priorità ad i punti condivisi);

Ricordatevi che state usando il tempo degli altri: chiunque ne abusi non solo non ha rispetto di voi che siete l’organizzatore ma non ha rispetto di tutti i partecipanti (in questo senso il “rispetto”, che è un concetto cardine per le riunioni efficaci, deve essere sempre a due vie).

Essere il “direttore esecutivo” di una buona riunione a volte è difficile e fastidioso… ma non esserlo farà indispettire più di una persona (compromettendo i rapporti e le collaborazioni future).

NB: niente tolleranza: chi ha ricevuto il materiale e non si è preparato non ha il diritto di allungare il brodo durante la riunione e deve essere “ripreso” (può essere considerato rigido ma è una regola di convivenza essenziale… ).

1.2.2. REGOLA DUE: coinvolgere

Se avete un agenda precisa, partecipanti selezionati e tempi definiti non dovrebbe essere troppo difficile.

Le persone devono sentirsi coinvolte, devono seguire il “flow” della riunione e non distrarsi.

Se avete progettato bene la riunione ci sono buone probabilità che i partecipanti vi seguano… a beneficio della vostra leadership e del tempo di tutti.

1.2.3. REGOLA TRE: fare la minuta

Fare una minuta di meeting dopo la riunione è fastidioso ma fondamentale… non ci sono scappatoie: dovete farla.

Una minuta di meeting ben fatta riprende l’agenda e punto per punto definisce chi fa che cosa entro quando.

E’ uno strumento semplice che va preparato via via che si svolge la riunione assicurandosi che tutti abbiano ben compreso quello che devono fare ed entro quanto…

Se avete seguito le regole precedenti tutto sarà molto semplice e naturale.

L’obiettivo è che le persone escano dalla riunione con qualcosa da fare e con la chiarezza di cosa è questo che cosa (e dei tempi entro cui farlo).

Se non c’è un’azione per loro allora probabilmente avete progettato male la riunione (riguardate il capitolo 1.1 “progettazione”).

NB: in organizzazione avanzate ed in team auto-organizzati la minuta non serve… ma questo tipo di organizzazioni sono rare e futuribili (e la minuta dovrà accompagnarci ancora per un po’..).

2 Seconda parte: Come fare per declinare riunioni inefficaci

Questa è la parte più importante… ma anche la più semplice (in teoria).

Se la maggior parte delle riunioni le subite, dovete imparare a dire di no.

In questo vi sarà utile la parte precedente…

Per dire di no è sufficiente guardare se chi organizza la riunione l’ha progettata bene…

C’è un’agenda? Ci sono dei tempi definiti? Cosa ci si aspetta da me come contributo?

Non avete idea della potenza di queste domande poste ad un organizzatore…

Le prime volte creerà in lui un po’ di imbarazzo, balbettamento e senso di inadeguatezza … dalle volte successive porterà a maggiore organizzazione, pianificazione ed efficienza (per esperienza a nessuno piace fare la figura dello stupido o di quello che non è “preparato”).

Indipendentemente dal livello gerarchico della persona che vi “chiama” in riunione, le domande che dovreste fare sono sempre le stesse (conviene ripeterle):

C’è un’agenda? Ci sono dei tempi definiti? Cosa ci si aspetta da me come contributo?

Personalmente non partecipo a nessuna riunione che non abbia un’agenda, in cui non sia chiaro cosa ci si aspetta da me ed in cui non ci sia un minimo di progettualità.

Siccome la maggior parte delle riunioni non ce l’hanno… ecco un trucco semplice salvare tonnellate di tempo ogni anno (e per costringere i miei interlocutori a diventare più “ordinati”).

Il consiglio è quello di cambiare mindset: c’è il vostro tempo in ballo e qui vale “l’inversione dell’onere della prova” ovvero quel principio secondo cui deve essere l’organizzatore della riunione che deve dimostrare che quella riunione serve… e non le persone a cui viene chiesto di sottrarre tempo ad altre attività.

Se un organizzatore non sa rispondere a queste semplici domande, allora vuol dire che non ha progettato bene la riunione e conseguentemente non acquisisce il diritto di togliere energie utili a colleghi impegnati.

FAQ:

Cosa si fa se l’organizzatore è un capo?

Se è un capo e manca di progettualità in una cosa così fondamentale come le riunioni (che occupano molto probabilmente più del 50% del suo tempo), farlo riflettere su punti di logica inattaccabile può avere due conseguenze:

  • Migliorare la relazione (con le domande si comunica assertività ed il nostro stile di fare le cose… cosa che viene generalmente apprezzata da capi intelligenti)
  • Peggiorare la relazione (capo non ricettivo)

Nel primo caso avrete avuto un guadagno netto (non solo in termini di tempo ma anche di fiducia); nel secondo caso dovreste cominciare a farvi due domande.

Se un responsabile non è in grado di mettere in discussione un modus operandi disfunzionale allora probabilmente dovreste porvi la stessa domanda che a senso porsi all’interno di una riunione efficace… “che ci faccio qui”?

Non è facile ma è fondamentale abbandonare vecchi schemi (e vecchi capi) se si vuole davvero dare una svolta nella propria attività lavorativa o nel modo con cui si gestisce il tempo.

In alternativa ci si può accontentare… a patto di essere soddisfatti e non lamentarsi..

Alcune considerazioni conclusive e qualche proposte creativa da fare in azienda

I meeting efficaci passano dal rispetto del tempo delle altre persone: professionisti stressati a cui concedi di risparmiare mezz’ora di tempo saranno grati in eterno.. e si renderanno molto più disponibili quando effettivamente ci sarà bisogno di loro.

Personalmente ho trovato molto più supporto dalle persone quando ho cominciato a riconoscere l’importanza del loro tempo (e ad organizzare riunioni efficaci)

Cosa si può fare

Tassare i meeting eccessivi o le mail eccessive non è una soluzione (anche se sarebbe carino farlo e si potrebbero strutturare concorsi a premi o eventi dedicati..).

Vediamo qualche soluzione più pratica (in linea con quanto detto):

  • Creare una cultura in cui le riunioni inefficaci non sono contemplate: cominciate a fare domande indicate nella seconda parte… prima di accettare riunioni a cui siete invitati;
  • Monitorate quelle che fanno i vostri colleghi quando organizzano le riunioni (per prendere ispirazione e/o valutarli in base ai contenuti): potreste fare un “ranking” che sarà utile, al di là degli elementi esposti sopra, per decidere a quali meeting partecipare;
  • Se siete un manager cominciate a partecipare ad una delle riunioni organizzate dai vostri collaboratori (vedere come i propri riporti organizzano le riunioni è un ottimo sostituto di metriche di valutazione molto meno efficaci);
  • Date sempre un feedback sulla efficacia della riunione, sullo stile e sui contenuti: serve a dare elementi alle persone per migliorare le loro prestazioni (in modo da farvi sottrarre meno tempo);
  • Istruite i vostri stakeholders su come organizzare una riunione efficace (le buone prassi come abbiamo visto sono poche… basta seguirle);
  • Se siete gli organizzatori, accendere la camera in modo da non distrarvi e captare l’attenzione di chi vi segue: vi darà molta più credibilità (la leadership invece, dovrete conquistarla con una gestione eccelsa dell’esecuzione…). NB: Così come una riunione in presenza efficace si rivela tale se nessuno dei partecipanti gioca col telefonino o manda mail mentre noi parliamo, allo stesso modo una riunione in videocall risulta efficace quando i “pochi ma buoni” partecipanti non si distraggono. Ovviamente non potete obbligare le persone ad accendere la telecamera ma facendolo voi stessi sarete di ispirazione per gli altri ed otterrete maggiore coinvolgimento;
  • Inserite degli “ice-breaker”: momenti di pausa, battute o argomenti extra lavoro (in genere per le riunioni periodiche con un team io cerco sempre di fissare “5 minuti per condividere novità extra professionali”). Sapere quello che fanno i vostri colleghi nel fine settimana è istruttivo, curioso ed anche molto significativo professionalmente..
  • Fate un regalo: generalmente nei meeting periodici vengono stabilite delle azioni… se nessuno dei partecipanti ha azioni da compiere nel meeting successivo dategli la libertà di non partecipare (ve ne saranno grati e la volta dopo saranno ancora più efficienti);
  • Usate una sedia virtuale che rappresenta “il punto di vista dell’organizzazione”: ogni partecipante a fine riunione (o durante) potrà sedervisi, acquisendo un punto di vista esterno e chiedendosi: “Questa riunione ha davvero reso un servizio all’organizzazione”?;
  • Usate pratiche come “un minuto di silenzio”, un giro di ringraziamenti o un recap degli scopi più alti (rispetto ai quali la riunione ha ragion d’essere)… serve a creare “engagement” ed a riportare la riunione su un piano operativo… verificando che la stessa sia utile agli scopi che dovremmo raggiungere.

Per ora è tutto… ulteriori consigli o suggerimenti creativi sono ben accetti.

Buone riunioni!

Le regole di Patrick Moratoglou (allenatore di Serena Willam)

Un manager o un executive è qualcuno il cui compito principale dovrebbe essere quello di “allenare” centinaia di persone…

..prendendo spunto dai migliori coach degli atleti professionisti e ricopiando (e possibilmente facendo sue), semplici regole.

Qui di seguito le 6 regole applicabili al management di Patrick Moratoglou (allenatore di Serena Williams, una delle più grandi tenniste di tutti i tempi):

1 La tua più grande debolezza può diventare la tua più grande forza

“quando ero piccolo ero molto sensibile ma quando sono diventato allenatore, quello che era considerato un punto di debolezza è diventato il mio maggior punto di forza”: è stato fondamentale per riuscire a capire i miei atleti, per prestare attenzione e saper interpretare i loro comportamenti.. bisogna avere sempre occhi ed orecchie ben aperti: osservi, comprendi e poi fai un piano per costruire la fiducia con gli atleti ed aumentare le loro prestazioni. Saper osservare le persone è fondamentale..

2 Non avere mai paura di essere licenziato

Correre dei rischi e non avere paura è la chiave per riuscire… Se hai paura per il tuo posto di lavoro, dirai sempre gli altri quello che vogliono sentire (che non è quasi mai quello che serve per eccellere). Le persone capiscono sempre se hai paura… e se hai paura di essere licenziato, non crederanno in te.

3 Gli errori sono inevitabili ma non permettere che ti definiscano

Fallimento e frustrazione sono due delle cose migliori che possono capitarti se impari a gestirle. Non c’è altro modo di imparare se non facendo errori e prendendo spunto dagli stessi per migliorarsi. Gli errori servono a questo… non a definire se siamo o meno persone di successo.

4 Le emozioni sono pessimi consiglieri


Avere emozioni non è un problema, il problema è fargli prendere decisioni al posto tuo. Quando sei in preda alle emozioni è materialmente impossibile prendere le decisioni migliori. Nessuno dovrebbe prendere decisioni in preda a rabbia, panico, paura o frustrazione.

5 Fagli sapere che non è solo

La relazione è tutto. L’atleta deve credere intimamente che ce la può fare e tu devi dargli tutto l’appoggio necessario affinché possa tirare fuori il meglio da se stesso. Molto atleti che si auto-sabotano hanno un grande talento.. ma tanti non hanno fiducia in se stessi. Un allenatore serve a far sapere ad un’atleta che non è solo, che non è strano e che non è diverso (se non nel suo talento).

6 una bugia a fin di bene può diventare una verità.

Quando Serena era in crisi nelle palle sotto rete, mi inventai una statistica secondo la quale “se ti muovi con decisione a rete hai l’80 per cento di probabilità di fare punto”. Lei si convinse e cominciò a farlo.. facendo punto nell’’80% delle volte..
“Odio dire bugie ma dovevo ricordarle chi era e quello stratagemma funzionò”. Tutti hanno dei limiti: la maggior parte non sono tecnici ma mentali.

I “super-guanti” che salvano la produttività..

Diversi anni fa, camminando per la fabbrica, vidi una fila al magazzino..

In attesa c’erano 3 operai ad aspettare un paio di guanti nuovi.

Venivano serviti uno alla volta perché l’azienda aveva deciso che era preferibile presidiare il magazzino piuttosto che rischiare che qualcuno potesse portarsi a casa troppi guanti.

Il problema è che un paio di guanti costa da 0,5 ad 1€ (dipende da quanto sono bravi quelli dell’ufficio acquisti), mentre un operaio costa all’azienda circa 25€ l’ora…

Per preservare il rischio che il 3% della popolazione operaia facesse incetta di guanti (e magari aprisse un negozio fuori dalla fabbrica), il restante 97% doveva fare la fila al magazzino perdendo tempo prezioso sottratto alla produzione.

E’ facile fare i conti su quanto la logica “illogica” del comando e controllo in questo caso sia completamente fallimentare: se 4 operai perdono 15 minuti ciascuno, si sono bruciati 25€ (ovvero il corrispettivo di almeno 30 paia di guanti)

Un paio di guanti non sempre salvano la produttività… ma la fiducia nelle persone può far risparmiare un sacco di soldi..

Perchè riposare o prendersi tempo è un investimento in benessere e produttività.. (ed una questione di cultura aziendale)

Adam Grant diceva che “riposarsi non è una perdita di tempo.. ma un investimento in benessere…

In maniera analoga:

– rilassarsi non è necessariamente un segnale di pigrizia ma può essere una “capitalizzazione” in energia nuova o creatività;

– prendersi una pausa non è necessariamente un’eccessiva distrazione ma un modo per socializzare o concentrarsi maggiormente su un lavoro;

– giocare non è un’attività frivola ma un percorso per connettersi maggiormente con se stessi e relazionarsi efficacemente con gli altri.

Come manager e come persone, siamo eccessivamente abituati ad etichettare attività come utili o inutili in valore assoluto… perdendo di vista non solo la peculiarità di ognuno (c’è chi riesce ad essere molto più efficiente lavorando meno), ma anche il lato “produttivo” di attività che siamo abituati a considerare “improduttive”.

Chi di noi non lavora meglio dopo una mini-vacanza?!?

Lavorare sul management e sull’ambiente affinché ci sia una totale ed incondizionata accettazione della “pausa” (vedendola come espediente per la produttività e non come una perdita di tempo), conta molto più dell’inaugurazione di palestre e caffetterie (o dell’allestimento in ufficio di un’amaca destinata a rimanere inutilizzata).

#mindset #changemanagement #cultura #peoplemanagement #executivecoaching

Reinventare le organizzazioni (#42/2021)

di Frederic Laloux pag. 504 27 Settembre 2021

Generalmente lo stimolo per una crescita professionale o personale arriva sotto forma di una grande sfida: un cambiamento improvviso negli scenari o qualcosa di complesso che non può essere affrontato con i modelli utilizzati in precedenza.

Se per le persone questa spinta al cambiamento è dettata dalle rinnovate consapevolezze dall’era del “knowledge work” e di internet, per le aziende il cambiamento è guidato dalle mutazioni degli scenari di mercato…

Per entrambi, le nuove realtà impongono più velocità, più flessibilità ed una migliore percezione dei cambiamenti, richiedendo modelli “agili” ed una mentalità più aperta e funzionale al raggiungimento di un risultato e di uno scopo che cambiano velocemente….

In ambito organizzativo, questo porta le organizzazioni verso modelli “teal”: modelli senza gerarchie in cui i gruppi si organizzano flessibilmente per risolvere problemi, senza bisogno di pesanti strutture di supporto che rallentano i processi decisionali.

Queste organizzazioni nascono da un cambio di paradigma del mondo del lavoro: un mondo in cui si ricerca uno scopo superiore, una maggiore autonomia ed un migliore rapporto fra vita privata e vita professionale.

Le organizzazioni “teal” prevedono un’assunzione di responsabilità collettiva e sono aziende che assomigliano più ad organismi pensanti piuttosto che a macchine pre-programmate: luoghi in cui lavorare insieme in modo flessibile, ricoprendo più ruoli ed imparando ad assumersi responsabilità per il raggiungimento di un risultato comune.

Le aziende che applicano modelli “teal” esistono già: sono più resilienti, agiscono come vere e proprie comunità e vedono la responsabilità sociale come parte integrante del modo di fare  impresa.

“Reinventare le organizzazioni” è un libro sulle organizzazioni del futuro ma anche per organizzazioni tradizionali che aspirano ad adattarsi ad un “nuovo stadio di consapevolezza umana”….

39 fallimenti ed un successo…

Il WD-40 è uno dei lubrificanti più venduti al mondo… e si chiama così perchè le sue prime 39 versioni furono un fallimento.

La storia di WD-40 inizia nel 1953 a San Diego in California in un piccolo laboratorio dal nome Rocket Chemical: WD-40 sta per “Water Displacement” (idrorepellente) ottenuto al quarantesimo tentativo.

.. solo chi non si arrende davanti ai molteplici fallimenti può diventare una multinazionale… tutti gli altri si sono arresi prima del quarantesimo tentativo..

Se li vuoi produttivi, rendili felici… motivandoli

Se li vuoi produttivi, rendili felici… motivandoli

C’è una semplice equazione divisa in due parti che suggerisce come fare per avere collaboratori ed impiegati più produttivi:

Prestazione=Felicità (si raggiunge una prestazione solo se si è “felici” o in uno stato di “flow”)

Felicità=motivazione (si è felici o nel “flow” quando siamo motivati)

La prima parte dell’equazione è evidente anche in ambienti di lavoro non particolarmente innovativi: quei pochi professionisti considerati “top performer” dai propri capi, sono felicissimi di lavorare h24 e di farsi stressare dal lavoro considerandosi “resilienti” (anche se la maggior parte della loro “prestazione” si sviluppa, come per quasi tutti, nelle prime ore lavorative).

… ma dal momento che tutti vorremmo ambienti con più “top performer”, è necessario capire come rendere “felici” il maggior numero possibile di persone (non solo quelli disposti a lavorare h24).

Ed ecco che viene in aiuto la seconda parte dell’equazione:

Felicità=motivazione

Per essere felici, i dipendenti devono essere motivati e per essere motivati devono avere:

– uno scopo
– il rispetto
– la fiducia
– il riconoscimento

La maggior parte delle azioni per estendere la popolazione dei top performer dovrebbe quindi ruotare attorno a questi quattro elementi..

Questione di matematica..

3 fattori chiave di svolta nelle prestazioni..

Le prestazioni aumentano vertiginosamente quando le energie delle persone vengono liberate (anziché imbottigliate in flussi, processi e numeri).

Questo succede quando:

1)     Il potere viene distribuito anziché concentrato su poche persone al vertice;

2)     Ciascuno è libero di portare un po’ di se stesso nel lavoro che fa;

3)     Lo scopo delle persone è in fase con lo scopo dell’organizzazione.

Il primo fattore si raggiunge con la delega e l’auto-organizzazione (ovvero, ancora prima, con la fiducia).

Il secondo si facilita aiutando le persone ad esprimere le proprie caratteristiche (richiedendo solo il risultato e resistendo dall’impulso di imporre il “come” fare per raggiungerlo).

Il terzo punto si ottiene mediante feedback reciproco fin dall’assunzione, estrema chiarezza dei mutui interessi e costante allineamento su quello che si vuole raggiungere.

Sono tre fattori semplici che hanno lo scopo di liberare l’energia di chi lavora…. Con la diretta ed alquanto ovvia conseguenza di aumentare anche le prestazioni..

Tre elementi su cui agire per rendere le organizzazioni più sostenibili

La sostenibilità nel business

La sostenibilità nelle aziende è un tema controverso e di estrema attualità.

La ricerca di sostenibilità nasce dalle rinnovate esigenze di elevare lo scopo delle nostre organizzazioni per contemplare un futuro migliore per tutti.

La tecnologia e le riflessioni seguite all’ondata pandemica, hanno stimolato il dibattito sulla necessità di un migliore rapporto con l’ambiente (inteso non solo come ecosistema ma anche come sistema di relazioni ed equilibrio fra vita lavorativa e personale).

Se prima l’evoluzione era solo incentrata sui prodotti, cosa che grazie alle precedenti rivoluzioni industriali ha portato al costante aumento della qualità della vita in moltissimi paesi, adesso stiamo maturando nuove consapevolezze sugli effetti collaterali che certi “progressi” hanno avuto nei nostri ambienti, muovendoci alla ricerca di qualcosa di più “sostenibile”.

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I tre fattori fondamentali

Come si traduce il concetto di “sostenibilità” all’interno delle società o delle multinazionali?

Tutto parte dal promotore di qualsiasi cambiamento: l’essere umano.

L’analisi delle esigenze delle persone è alla base di qualsiasi ragionamento correlato alla sostenibilità.

Vogliono più sostenibilità i dipendenti, che non si riconoscono più nei modelli del ‘900 e che puntano ad una maggiore realizzazione personale, possibilmente bilanciando anche gli altri aspetti della propria vita e ricevendo incarichi commisurati alle proprie capacità e caratteristiche (e non più a prescindere da queste).

Vogliono più sostenibilità anche i clienti… che grazie alla maggiore sensibilizzazione dei media, non accettano più prodotti che portino solo benessere nel breve termine ma desiderano prodotti che non generino un impatto che vada a discapito del benessere di medio-lungo termine (e delle generazioni future).

Ma quali sono i fattori fondamentali a cui puntare per rendere le organizzazioni sostenibili?

Pensando a clienti, dipendenti ed a tutti gli stakeholders di un’organizzazione, la ricerca di sostenibilità nelle aziende fa perno su tre fattori fondamentali:

  • Leadership
  • Prodotti
  • Relazioni

Sostenibilità nella leadership

In un’organizzazione sostenibile, tutti i membri sono importanti ma le persone che sono al vertice hanno indubbiamente una maggiore possibilità di dare la direzione, stabilire la visione e generare miglioramenti che possono riflettersi sulla quotidianità di migliaia di dipendenti.

Ricercare una leadership più sostenibile significa cominciare a fare un’attenta selezione dei nuovi executives: avendo cura che siano in grado di riflettere al 100% quei valori e quell’imprinting che consente ad un’organizzazione di essere realmente sostenibile al di là delle apparenze e dell’immagine.

Questo si traduce nella scelta di manager che riescano a cambiare la propria prospettiva, che tengano conto delle esigenze degli azionisti ma che riescano a guardare anche al lungo termine, sostenendo i propri dipendenti (motore primo dell’azienda) e facendoli crescere in modo che la loro azione sia sempre sincronizzata con gli obiettivi primari dell’azienda.

Una leadership “sostenibile” fa della diversità e dell’inclusione un valore fondamentale: è meno direttiva e più assertiva, più concentrata sulla crescita della “comunità aziendale” che sui profitti (non più obiettivo primario ma effetto e conseguenza diretta di una gestione più partecipata).

E’ infine una leadership focalizzata sul miglioramento delle condizioni delle categorie più deboli: attenta alle relazioni industriali con i partner,  i competitor e le istituzioni territoriali (con cui collabora attivamente).

Sostenibilità nei prodotti

Un prodotto per essere sostenibile deve tenere conto di tutti i fattori che fino a poco tempo fa erano considerati irrilevanti (come ad esempio lo smaltimento dei rifiuti e lo sfruttamento delle risorse umane ed ambientali): costi sommersi, non sostenuti direttamente dall’impresa ma che hanno inciso per decenni sulle parti più deboli della comunità, costituendo un aggravio per i singoli cittadini ed i governi locali.

Sostenibilità di un prodotto significa far sì che questo soddisfi le esigenze del cliente finale ma che sia anche in grado di “sostenere” tutta la filiera (di cui fanno parte l’ambiente, i fornitori e tutte le persone che indirettamente o direttamente vengono in contatto col prodotto e con l’azienda).

Realizzare un prodotto sostenibile significa re-ingegnerizzare quello che si produce, considerando un ciclo di vita più ampio di quello relativo al semplice utilizzo: in poche parole significa progettare tenendo a mente non solo i confini della fabbrica ma ciò che viene prima e ciò che va oltre.

Un prodotto bellissimo e che costa poco ma non riciclabile e con un impatto di sfruttamento delle persone che lavorano sui suoi sub-componenti non è un prodotto sostenibile.

E’ invece un prodotto sostenibile, qualcosa che oltre a far arricchire chi lo produce e chi lo utilizza, è prezioso anche per la comunità (aggiunge valore al territorio ed è ad impatto minimo per l’ecosistema).

Sostenibilità nelle relazioni

I clienti sono persone ed i prodotti non sono altro che la merce di scambio di una relazione fra chi li produce e chi li acquista.

La sostenibilità passa quindi anche dalle relazioni fra le persone che concorrono alla realizzazione di un prodotto o all’erogazione di un servizio: collaborazioni fra centinaia di persone che vivono l’azienda e prosperano in un ecosistema professionale fatto da dipartimenti, colleghi, relazioni gerarchiche e funzionali e collaborazioni internazionali.

Promuovere la “sostenibilità” all’interno delle relazioni professionali, vuol dire passare da una logica feudale e “di confine” ad una logica in cui due siti produttivi/dipartimenti/gruppi di lavoro/persone vengono percepiti come braccia che lavorano all’unisono per realizzare qualcosa di più grande di quello che sarebbero riusciti a realizzare singolarmente.

Il concetto è lo stesso di quello appena visto per la sostenibilità di prodotto: significa avere una visione che va al di là del recinto dei propri interessi e che contempli invece quello dell’interesse di tutti (con uno scopo più alto della semplice produzione che dà luogo al profitto).

Conclusione

Sostenibilità nel business vuol dire acquisire un approccio olistico in cui ogni entità (leader, impiegati, dipartimenti, prodotti, clienti ed azionisti) non hanno senso o rilevanza individualmente ma sono parte di un sistema più grande.

La sostenibilità è un concetto comunitario che spinge l’evoluzione umana al punto di contemplare le conseguenze di quello che facciamo non limitandole al “qui ed ora” ma allargandole sia nello spazio (considerando il territorio, l’ambiente e le comunità che fioriscono grazie all’opera delle organizzazioni) sia nel tempo (domandandosi cosa lasceremo alle generazioni future).

Non è una moda passeggera ma è frutto di una evoluzione della nostra specie che nel corso della sua lunga esistenza ha dato prova e dimostrazione di riuscire ad allargare sempre i propri orizzonti per generare (coi limiti della tecnologia e della cultura di ogni “epoca”), società progressivamente sempre più avanzate e “sostenibili”.