“Lo scopo nella vita è una vita con uno scopo” (Bernard Shaw)



Solo quando c’è uno “scopo” anche al lavoro, la dimensione professionale assume senso e pienezza.

“Trovate uno scopo in quello che fate e se non c’è inventatelo”…

Un uomo alla catena di montaggio faceva lo stesso lavoro ogni giorno: spostava gli stessi pezzi nello stesso modo a ripetizione… 5 giorni su 7, mese dopo mese.

Poi si dette lo scopo di migliorare i propri tempi da una settimana a un’altra: cominció a studiare i cinematismi del suo corpo, nuove attrezzature e qualsiasi cosa potesse migliorare quel processo routinario.

Divenne sempre più bravo e venne promosso… ma gli sembrò di non aver fatto niente di eccezionale se non trovare modi per alleggerire le proprie giornate.

Si può trovare uno scopo anche nei lavori più monotoni se solo si cambia la prospettiva e ci si impegna a mettere un po’ di quello che si è in quello che si fa.

Cercare uno “scopo” anzichè un “lavoro” è fondamentale per il proprio benessere, per evitare burn out, great resignation, quite quitting o qualsiasi altro fenomeno non vada nella direzione di una piena realizzazione.

E’ una responsabilità che (purtroppo o per fortuna) non è possibile delegare a nessuno.

Aneddoto tratto da “Mindset” di Carol Dweck

Gli errori del manager (#14/2024)

La differenza fra un manager e un altro risiede non tanto dalla quantità di errori commessi, quanto dall’atteggiamento nei confronti degli stessi…

Figli di una cultura del secolo scorso, ho visto molti di loro nasconderli, ometterli o deliberatamente girarli a colleghi e sottoposti.

Più raramente ho visto prendersene la responsabilità, accettarli, analizzarli, affrontarli e farli diventare un’occasione di crescita non solo per se stessi ma anche per i propri “team” (anche perchè, in un’epoca non troppo lontana, quest’ultimo approccio veniva considerato più rischioso che coraggioso, più lesivo che pionieristico e più sintomo di debolezza che frutto di un’estrema lungimiranza).

Eppure l’unica accelerazione possibile all’evoluzione a passi veloci imposta dalla tecnologia continua ad essere sempre quella che ha plasmato la nostra realtà nei secoli: quella che segue l’osservazione critica di ciò che facciamo e che sbagliamo… e che ci fa progredire in misura proporzionale a quanto siamo in grado di accettare la nostra “fallibilità” per farne un punto di partenza verso obiettivi più ambiziosi.

E ripensando agli “outsider del management” che ho avuto la fortuna di incontrare, ricordo bene quanto considerassero gli errori parte di un processo, guardandoli più con curiosità che con timore (consci delle proprie “spalle da giganti” e per niente intimoriti dagli effetti che questi avrebbero potuto giocare sulla propria carriera).

Fatta questa premessa e messa da parte l’esperienza personale, ho trovato ne “gli errori del manager”, molti spunti utili e tanti degli errori classici che si fanno in posizioni apicali (quando paura e egocentrismo limitano notevolmente il potenziale di tutti).

Attraverso numerosi casi e suggerimenti pratici, il libro di Andrea, Massimo e Massimiliano aiuta a riflettere e intervenire sulle principali cause di errori in ruoli tanto ambiti quanto complessi.

Un libro completo che analizza i principali deficit della leadership odierna:

–         Deficit percettivo: mancanza di una profonda comprensione delle interfacce e della complessità dei nuovi contesti;

–         Deficit emotivo: sopravvalutazione o sottovalutazione delle emozioni proprie e altrui (e della loro, complessa, inter-relazione);

–         Deficit comunicativo: mancanza di trasparenza, rispetto e critica costruttiva nei confronti di tutti gli “stakeholders”;

Tutti campi su cui lavorare attraverso formazione ed executive coaching per fare un salto qualitativo verso una leadership più partecipata, più consapevole e maggiormente efficace.

Come fare per avere più tempo

…quasi mai lo usiamo come dovremmo, ma il tempo è davvero “la risorsa più preziosa che un uomo può spendere” (Teofrasto 322 a.C.)

Ce ne rendiamo conto solo dopo averne perso una quantità enorme in cose che danno l’apparenza di essere produttive, ma che in realtà spesso tolgono energie e focus su ciò che conta davvero.

Il tempo non significativo è sempre troppo, che sia quello passato su uno smartphone o quello impiegato nel tentativo di fare più cose contemporaneamente.

Ma esiste un modo per imparare gestirlo, con un processo lento ma graduale.

Il primo consiglio è fare un’analisi delle nostre caratteristiche, delle cose che ci rappresentano maggiormente e a cui vogliamo dare priorità.

Il secondo è imparare a usarlo al meglio e in modo “funzionale” acquisendo una “progettualità” rispetto alla direzione che vogliamo imboccare.

Il tempo è il coefficiente che può fare la differenza nella sfera professionale e personale, e visto che nessuno può “comprarlo”, l’unica soluzione è imparare a comprenderlo e ottimizzarlo.


Altri spunti per la produttività: Detto fatto (David Allen), Dritti al sodo (George Mc. Keown), Tiny habits (J B Fogg), i corsi Nenet su gestione del tempo e micro-abitudini disponibili su www.nenetcompany.it

Lasciare spazio ai giovani

A 34 anni abbiamo tutti energie da vendere…

Abbiamo idee, stimoli, passione, apertura mentale, voglia di imparare e flessibilità.

Io ricordo che non avevo l’esperienza di ora, ma avevo un livello di conoscenza sufficiente per migliorare le dinamiche dell’organizzazione in cui ero manager.

Non stavo troppo dietro alla politica né ai titoli: avevo pochi bias e qualche difetto, ma possedevo già quel mix di irriverenza, voglia di fare e capacità di coinvolgere gli altri per renderli parte attiva di un cambiamento.

Sono sicuro che i miei 34 anni non sono stati molto diversi da quelli della maggior parte delle generazioni precedenti e successive (nè dai vostri).

Questo perchè a quell’età hai tutto quello che serve e quello che ti manca puoi sempre impararlo (con qualcuno che abbia la volontà di insegnartelo).

Quando hai 34 anni e diventi primo ministro di una delle economie trainanti del nostro continente, non devi sperare di essere “all’altezza”: devi sperare di trovare un ambiente che ti lasci concentrare sul tuo lavoro anzichè farti perdere energie per scansare mine o difenderti da cose che non fanno parte della tua “agenda”.

A 34 anni devi augurarti di trovare compagni e avversari che invece di tirarti giù perché “troppo giovane”, ti supportino a fare il meglio delle tue possibilità… consentendoti di mettere mano a dinamiche che per interessi individuali nessuno ha interesse a cambiare.

In bocca al lupo a tutte quelle società e organizzazioni che hanno il coraggio di puntare sulle nuove generazioni senza limitarle, controllarle o pretendere che siano macchine da 500 cavalli a cui devi mettere un freno per evitare che arrivino prima di te.

Abbiamo bisogno di menti brillanti da affiancare e supportare per non morire di mediocrità… in qualsiasi campo e a prescindere dall’età, dalla etnia, dalla religione, dall’orientamento sessuale e dalla ideologia politica.

Il potere dello scambio di idee

“Se tu hai una mela e io ho una mela e ci scambiamo le nostre mele allora tu ed io avremo ancora una mela a testa. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e ci scambiamo queste idee; allora ciascuno di noi avrà due idee.”
(George Bernard Shaw)

La transizione dall’era industriale al “knowledge work” sta favorendo la condivisione di idee, le sinergie fra aziende che storicamente sono state competitor e le ibridazioni fra organizzazioni che si mettono insieme per creare nuovi prodotti.

Siamo di fatto all’alba di una nuova era: ormai già qualche anno fa, Nike col progetto “green X” ha reso disponibili ad altre aziende le proprie ricerche su materiali innovativi e non sono nuove partnership fra aziende concorrenti (mi viene in mente l’esempio di Gucci e Balenciaga ma anche di altre “joint venture” che solo 10 anni fa sarebbero state impensabili).

Eppure gli enormi vantaggi di scambiare idee e fare sinergie per ampliare i propri orizzonti e aprire nuovi mercati non convincono ancora gli ambienti più conservativi.

Il problema non è solo fra aziende ma anche fra funzioni della stessa azienda e fra persone dello stesso ufficio (che teoricamente dovrebbero condividere gli stessi obiettivi e puntare agli stessi risultati).

Riprendendo l’aforisma di Shaw, è interessante osservare a quante idee vengono ancora scambiate per mele rinunciando alla possibilità di mangiare tutti in abbondanza…

La tecnica del pomodoro (#13-2024)

Quante volte capita di sentirsi sommersi di incombenze e di non riuscire a capire da che parte cominciare?

La gestione del tempo e delle priorità in un mondo veloce e pieno di distrazioni come il nostro è una delle prime competenze da acquisire indipendentemente dall’uso che ne si vuole fare.

Ho riletto questo classico in preparazione di un corso per @nenet e sebbene da quando è stato scritto ci siano state evoluzioni epocali non solo nella nostra società ma anche nel modo di dare/ricevere informazioni e in cosa direzioniamo le nostre energie, la tecnica del pomodoro (ideata negli anni ’90) trova ancora qualche spunto applicativo valido.

L’idea di base è quella di dotarsi di un timer da cucina da 30 minuti (anche non a forma di pomodoro), per misurare come impieghiamo il nostro tempo durante il giorno.

Sebbene gli smartphone abbiano sostituito in toto la funzione del timer, la caratteristica di base della tecnica del pomodoro è rimasta la stessa: classificare le nostre attività (“tasks”), dargli una priorità, assegnargli un tempo (quanti “pomodori” da 30 minuti sono necessari per portarla a compimento) e poi fare mente locale a fine giornata su cosa abbiamo effettivamente fatto.

La gestione ottimale del tempo in questi anni, ha acquisito molte più sfumature e tuttavia riuscire ad avere un’idea chiara di dove utilizziamo maggiormente la nostra risorsa più preziosa, è sempre un punto di partenza importante.

Oltre ad aiutare a misurare il tempo e ad invitare gentilmente ognuno di noi a settare le proprie priorità con rigore e metodo, la “tecnica del pomodoro” è un antidoto fenomenale contro le distrazioni: incasellare le proprie attività in una cornice temporale e avere un timer che detta i tempi, aiuta a mantenere focus e concentrazione e ci induce a non perdere attenzione continuamente…

L’idea alla base è che la fonte più prolifica di distrazioni sia la nostra mente e che il timer sia semplicemente un modo per riportarla su binari sicuri e garantirci una maggiore concentrazione (con buona pace del “multitasking: ampiamente inefficace e poco risolutivo).

Sebbene non sia un amante dei metodi standard e i strumenti troppo rigidi che non contemplano le diverse caratteristiche e comportamenti di ognuno di noi, ho cercato di “estrarre” dal pomodoro alcune pillole per riportarle nei corsi di gestione del tempo che facciamo in Nenet (il prossimo è in partenza il 20 Aprile).

…della tecnica del pomodoro rimane questo libro aggiornato nella sua ultima versione del 2018, che fornisce comunque strumenti utili per “misurare il tempo” e per cercare di gestirlo al meglio…

Come abbiamo ammazzato i talenti con la “teoria dell’impotenza appresa”…



Nel 1967 venne condotto un esperimento di psicologia in cui due gruppi di cani vennero sottoposti a scosse elettriche all’interno di una gabbia.

I cani avevano tutti la possibilità di toccare una leva per poter scappare ma nel primo gruppo la leva funzionava mentre nel secondo era volutamente difettosa.

Il giorno successivo gli stessi gruppi di cani vennero messi in una grande scatola divisa in due parti da una barriera che potevano facilmente saltare: un lato della scatola era sicuro mentre nell’altro venivano somministrate scosse elettriche.

I ricercatori osservarono che il comportamento dei due gruppi di cani era diverso: quelli che il giorno prima erano stati in grado di azionare la leva e fuggire dalle scosse erano più propensi a saltare la barriera rispetto a quelli che non erano riusciti ad attivare la leva perché difettosa.

Oggi questi esperimenti sono fortunatamente vietati ma con le loro risultanze gli psicologi hanno estrapolato una teoria valida anche per gli esseri umani e chiamata “teoria dell’impotenza appresa”.

La teoria dell’impotenza appresa spiega che quando i nostri risultati sono indipendenti da come ci comportiamo, quello che facciamo è interiorizzare questa lezione, applicandola anche in circostanze diverse.

È il solito meccanismo che si innesca in ambienti non meritocratici: quando gli sforzi profusi a lavoro sembrano non essere premiati, allora le persone smettono di sforzarsi e rinunciano a impegnarsi per coltivare i propri talenti.

La teoria dell’impotenza appresa spiega in parte molti fenomeni legati al quite quitting, alla fuga dei talenti e ai “neet”: laddove non ci sono prospettive e i risultati non sembrano dipendere dal lavoro fatto, l’essere umano involve in dinamiche sociali con un impatto enorme…

“È stato un anno incredibile” (più o meno..)

Bilancio tardivo del 2023

Se dovessi riassumere questo anno in una parola, potrei definirlo “entusiasmante”, ma costituirebbe solo una parziale verità.

In realtà la lezione che porto a casa dal 2023 è: scegli bene le tue battaglie e dosa le tue energie perché tutto ha un prezzo.

Quest’anno sono passato da tre contratti con tre aziende diverse ad aggiungere una società.

Questo ha fatto aumentare inevitabilmente ricavi e soddisfazioni, ma presentare solo la “copertina” vorrebbe dire nascondere buona parte della realtà.

Se decidete, infatti, di spendere la maggior parte del vostro tempo e delle vostre energie nel lavoro, aspettatevi che questo si rifletta su tutte le sfere della vostra vita.

Potendo lavorare in smartworking sono riuscito comunque ad accompagnare mio figlio a scuola o a collaborare per la famiglia, ma sono anche stato confinato tra quattro mura per 12 ore al giorno, per buona parte dell’anno, per 6 giorni su 7.

Nei mesi ho dovuto cambiare più volte i movimenti del mio corpo, comprare scrivanie regolabili, sedie ergonomiche, monitor migliori o attrezzature idonee ad allestire due uffici; ho acquistato cerotti per la cervicale, colliri per gli occhi e antinfiammatori per lenire dolori da postura in via di cronicizzazione.

Ho perso il senso della misura, il benessere che si prova a vivere fuori dalla città, il sapore del cibo degustato con calma ma anche il tempo piacevolmente inutile, le chiacchiere con un amico e il potere calmante del silenzio.

Ma per qualche motivo non mi sono fermato.

Spinto da un’iniezione continua di endorfine, ho alimentato una sorta di bulimia da lavoro che ha avuto conseguenze pesanti e che mi porta, oggi, a dover riflettere sul prezzo da pagare per le scelte che facciamo.

Ne scrivo qui perché spesso ricevo feedback sulla parte più visibile della mia vita professionale e perché vedo continuamente cronache di imprese o individui con storie incredibili che sembrano appena usciti dalla battaglia delle Termopili stirati, pettinati e senza presentare alcun segno di usura…

In tempi di titoli, performance, revenue e risultati esibiti come se fossero trofei, siamo portati a trascurare effetti collaterali che troppo spesso si omettono nei racconti patinati delle nostre esperienze.

Per questo, facendo un bilancio dell’anno, mi sento di dirvi: scegliete bene le battaglie da combattere e quante energie dedicare per raggiungere obiettivi che possono portarvi a una libertà “morale” e “finanziaria”, ma anche a stili di vita da cui non è facile tornare indietro.

Ma soprattutto non dimenticate mai di fare un’analisi onesta delle vostre risorse, delle vostre possibilità, delle sfere della vita a cui date importanza, del senso di quello che fate e, non ultimo, della vostra “provvisorietà”.

E fatelo costantemente per poter radddrizzare il tiro con intelligenza… Con la consapevolezza che ci si può e ci si deve fermare, quando serve e prima che sia qualcosa o qualcuno a farlo al posto nostro.

Se chiudi troppe porte anche le persone giuste rimangono fuori..


Quando siamo troppo selettivi a volte rischiamo di perderci opportunità

è anche vero che chiudere porte nella vita è fondamentale come è fondamentale dire molto “no” per riuscire a dire i “si che contano”

come sempre è la misura quello che conta ma soprattutto la capacità di capire quali porte imboccare e quali no

ho passato periodi in cui ho aperto troppe porte e periodi in cui ne ho aperte troppe poche: sono tutti passaggi e fallimenti fondamentali per cominciare a capire “quali sono quelle giuste”.

purtroppo non c’è altro modo di farlo se non sperimentare attivamente e con apertura… perché solo così ci si può avvicinare alle porte giuste…

PS: per coltivare l’ottimismo urgente consiglio il testo “immagina” della futurista McGonigal, per l’ottimismo flessibile il libro di Seligman “imparare l’ottimismo” (entrambi utili per non chiudere troppe porte e aumentare le chance di aprire quelle giuste).

Tieni duro! (#12-2024)

Tieni duro!

Quando hai poco tempo, una routine ti aiuta a sfruttarlo al massimo…

Per molti di noi la routine è una gabbia noiosa: qualcosa da cui scappare per evitare di sentirci automi in una infinita ruota del criceto.

Vedendola da un altro punto di vista però, avere una routine è esattamente ciò che ci rende liberi.

Come dice Austin Kleon in questo libro tanto sintetico quanto efficace: “la routine non ci toglie libertà ma ce la offre, proteggendoci dagli alti e bassi della vita e aiutandoci a sfruttare e ottimizzare quella limitata quantità di tempo, energia e talento che abbiamo”.

“Tieni duro” non è un invito a essere “resilienti”: è un consiglio supportato da suggerimenti e princìpi pratici ed etici per arrivare a conoscersi meglio, a organizzare le idee e a gestire il nostro tempo standoci bene dentro.

Con un pensiero del tutto controintuitivo, costruirsi una routine che parte dalle nostre esigenze e dalle nostre caratteristiche, può aiutarci a continuare a immaginare, a lavorare e ad esplorare ciò che ci circonda con curiosità… liberando il nostro potenziale e favorendo la massima espressione di noi stessi.

Una routine quotidiana aiuta a rimanere concentrati, a massimizzare la resa e a trovare spazi di vuoto creativo in cui inserire momenti di “svago produttivo” o semplicemente di “relax”: sviluppando un programma che mette al riparo dal disordine e dall’incostanza, e portandoci un passo più vicino agli obiettivi.

Perché la routine rende liberi?

Perché quando hai poco tempo, è l’unica cosa che può aiutarti a sfruttarlo al massimo… evitando di sprecarlo in attività di distrazione che non portano benessere e che costituiscono dei “buchi di tempo”.

E se gli spunti di questo best seller del New York time non bastano, Sabato 20 Aprile Nenet parte con un corso su “gestione del tempo e micro-abitudini”: una giornata per fare ordine nelle proprie giornate e gestire con maggiore efficacia “la risorsa più preziosa che l’uomo può spendere”.

Per informazioni e iscrizioni: www.nenetcompany.com