Come abbiamo ammazzato i talenti con la “teoria dell’impotenza appresa”…



Nel 1967 venne condotto un esperimento di psicologia in cui due gruppi di cani vennero sottoposti a scosse elettriche all’interno di una gabbia.

I cani avevano tutti la possibilità di toccare una leva per poter scappare ma nel primo gruppo la leva funzionava mentre nel secondo era volutamente difettosa.

Il giorno successivo gli stessi gruppi di cani vennero messi in una grande scatola divisa in due parti da una barriera che potevano facilmente saltare: un lato della scatola era sicuro mentre nell’altro venivano somministrate scosse elettriche.

I ricercatori osservarono che il comportamento dei due gruppi di cani era diverso: quelli che il giorno prima erano stati in grado di azionare la leva e fuggire dalle scosse erano più propensi a saltare la barriera rispetto a quelli che non erano riusciti ad attivare la leva perché difettosa.

Oggi questi esperimenti sono fortunatamente vietati ma con le loro risultanze gli psicologi hanno estrapolato una teoria valida anche per gli esseri umani e chiamata “teoria dell’impotenza appresa”.

La teoria dell’impotenza appresa spiega che quando i nostri risultati sono indipendenti da come ci comportiamo, quello che facciamo è interiorizzare questa lezione, applicandola anche in circostanze diverse.

È il solito meccanismo che si innesca in ambienti non meritocratici: quando gli sforzi profusi a lavoro sembrano non essere premiati, allora le persone smettono di sforzarsi e rinunciano a impegnarsi per coltivare i propri talenti.

La teoria dell’impotenza appresa spiega in parte molti fenomeni legati al quite quitting, alla fuga dei talenti e ai “neet”: laddove non ci sono prospettive e i risultati non sembrano dipendere dal lavoro fatto, l’essere umano involve in dinamiche sociali con un impatto enorme…

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