Cosa ci fa un albero di natale nel paese più munsulmano del mondo… (quando le logiche commerciali superano ogni barriera culturale o religiosa)

Ho trovato questa “curiosità” in un viaggio ad Abu Dhabi nel Dicembre del 2019.

Abu Dhabi è la capitale degli Emirati Arabi Uniti (UAE), un gruppo di stati della penisola Araba formato da un gruppo di sceicchi e pertanto non propriamente celebre per la propria democrazia..

Sebbene non sia uno dei paesi più “radicali”, l’UAE è una regione pressochè totalmente “islamica” che vive nel deserto e che basa la propria economia sul petrolio.

E’ quindi evidentemente uno stato ricco che ha bisogno di vendere petrolio per essere ancora più ricco e per poter dare sfoggio della propria opulenza costruendo fac-simili di metropoli cosmopolite e globalizzate su di un letto di sabbia incandescente…

In questo contesto non è difficile trovare alberi di Natale nella hall di grandi alberghi che ospitano uomini d’affari di tutto il mondo.

Sì perchè nonostante il radicalismo, nonostante le donne siano coperte e nonostante sia tutt’oggi illegale diffondere via media le idee di una religione che non sia l’Islam, “gli affari sono affari” e se gli Emirati Arabi vogliono vendere ai propri clienti (per lo più occidentali), non possono sottrarsi dal fargli trovare a Dicembre un bell’albero di Natale… anche se confinato nella hall di un grande albergo che si affaccia su una spiaggia artificiale con palme e temperatura media di 30 gradi…

Come le multinazionali intendono la green economy ..

La green economy nasce e cresce in un contesto generalizzato di crisi economica.

Con la crisi dei consumi c’è necessità di dare nuova linfa ai messaggi commerciali, scoprire nuovi trend e nuovi mercati e tentare di proiettarsi nel “futuro” attraverso ecosistemi sostenibili e prodotti che hanno impatto ridotto sul pianeta..

A fronte dell’effettiva necessità di ridurre le emissioni, anche in considerazione dell’aumento della popolazione mondiale e dell’estensione della fascia dei consumi verso l’alto, c’è necessità di rivedere i nostri standard di vita evolvendosi verso quella che gli esperti chiamano “la green economy”.

Ad uno stadio pre-evolutivo del concetto di green economy le grosse aziende si stanno però purtroppo muovendo verso una direzione di “produrre con meno impatto” e non in quella di “produrre di meno”.

Un esempio lampante è l’industria petrolifera che basando il proprio profitto sulla “produzione”, cerca semplicemente di renderla più “pulita”: quello che stanno cercando di fare le aziende è vendere i propri prodotti spacciandoli per “migliori per l’ambiente” ma pur sempre cercando di venderli in quantità…

La vera green economy sta invece nel “produrre meno” ovvero in un concetto al quale le multinazionali non si piegheranno facilmente per ovvi motivi di sostentamento.

E’ così che invece di costruire case passive, il mondo sta andando verso case che consumano meno (ma non troppo) e che sono alimentate da energia “pulita”… con la stessa logica, i mercati dell’auto si stanno orientando verso macchine  con alimentazione alternativa anzichè verso una mobilità di tipo differente.

Le case automobilistiche non sponsorizzeranno mai il car sharing o la mobilità condivisa ma piuttosto cercheranno come stanno già facendo di convertire le proprie fabbriche a produzioni di veicoli elettrici e “green”.

Senza un costante “incasso” legato a consumi e quantità, le multinazionali non hanno senso di esistere ed è per questo che esse promuoveranno un modo diverso di consumare ma pur sempre un modo di consumare.

Si fa presto a dire “green”.. (una penna nell’indifferenziato)

Ora il “green” va di moda… ma si fa presto a dire “green”.

Fai la raccolta differenziata e pensi di aver esaurito il tuo contributo alla salvezza del pianeta ma… cosa  butti?!?

Essere veramente “green” significa farsi domande più intelligenti e non solo avere una compostiera o tre bidoni diversi per la raccolta della spazzatura…

Qualche giorno fa ad esempio, dopo anni che faccio la differenziata, mi è capitata sotto mano una penna usa e getta (cosa straordinaria visto che ormai scrivo quasi esclusivamente al PC e che nella stragrande maggioranza dei casi le penne le perdo prima di riuscire a finire l’inchiostro…).

Tra l’altro era una penna di quelle “soft feel” con un involucro considerato pregiato rispetto al concetto di “usa e getta”. Una penna insomma che potresti tenere anni, cambiando solo la cartuccia che tra l’altro è più economica  e  ha meno impatti rispetto all’intero manufatto.

Dopo varie peripezie  ho dovuto rinunciare perché purtroppo non si produce in modo da riciclare/riutilizzare, ma solo per vendere, usare, gettare e ricomprare.

A questo punto,  invece di inveire con le industrie produttrici di penne (e ricomprare mio malgrado gli stessi prodotti), mi sono chiesto: cosa posso fare che non sia mettere su una start up per la produzione di penne ricaricabili a basso costo, compostabili o solubili nell’acqua una volta utilizzate?

Come posso fare per non dover buttare più penne usa e getta prima che la scrittura digitale sostituisca completamente il nostro modo di comunicare in forma scritta?

Credo che tutti noi possiamo ragionevolmente cominciare ad andare a ritroso nel processo.

La domanda chiave è: “A cosa serve la penna che sto buttando?”

Io personalmente uso la penna  per scrivere qualche appunto su un blocco, se non ho con me il PC o lo smartphone,  oppure per sottolineare le frasi che ritengo significative mentre leggo un libro.

Si potrebbe cominciare a sostituire le vecchie abitudini utilizzando un blocco digitale ed un lapis per eventuali sottolineature su carta.

Ovviamente la risposta alla domanda “a cosa serve la penna che sto buttando” varia a seconda di quello che siamo e dei nostri stili di vita. Ma non possiamo pensare di attuare un vero cambiamento finché tutti continueremo a fare la differenziata convincendoci che questa sia l’unica possibilità di contribuire a un’inversione di tendenza.

Si possono trovare innumerevoli  modi alternativi e più “smart” di approcciare al nostro quotidiano.

Probabilmente all’inizio saremo in pochi. Probabilmente  le alternative saranno come primo impatto antieconomiche e faticose, ma se non lo facciamo noi chi pensiamo dovrebbe farlo?

La storia ci insegna che  i consumi cambiano: se cominciamo a comprare diversamente ci saranno imprenditori disposti a  produrre diversamente e poco a poco le alternative potranno moltiplicarsi. Allargando il mercato  si presenteranno nuove possibilità di prodotti non usa e getta, i costi scenderanno e quella che oggi riteniamo l’unica possibilità diventerà una cosa “obsoleta” come oggi lo sono gli asciugacapelli a resistenza o gli elettrodomestici ad alto consumo.

Le penne usa e getta non saranno “fashionable” nemmeno per gli alberghi che oggi le usano come “gadget” (altra cosa che possiamo fare è lasciarle lì invece di raccattarle compulsivamente pensando che “le abbiamo pagate” con la retta dell’albergo).

Gli alberghi di lusso faranno a gara ad usare ricariche al posto delle 70 confezioni plastificate e si ingegneranno per regalarci penne solubili in acqua o compostabili con lo sguardo. Ma prima che questa cosa diventi la nostra nuova normalità avete pensato a come sostituire la vostra penna?

La prossima volta che buttate qualcosa nel bidone  dell’indifferenziato provate a farvi delle domande, a valutare le alternative e ad indirizzare i vostri acquisti di conseguenza.

Il mondo non lo cambiano Steve Jobs o Elon Musk.

Il mondo lo cambiamo noi con le nostre abitudini…

Regole per la progettazione di qualsiasi cosa

Pensando e ripensando all'esperienza di come costruire una casa ad "impatto zero" ho riflettuto su quelle che potevano essere buone norme di base da cui partire.

Mi sono reso conto come la progettazione di un qualsiasi oggetto sia esso complesso o semplice parte da pochi concetti di base qui riassunti:

  • buon senso
  • semplificazione

Prima di progettare un razzo sulla luna o anche semplicemente un'altalena in legno per il proprio figlio, la parola d'ordine è "buon senso".

Bisogna innanzitutto padroneggiare le regole di base della progettazione: il 99% delle cose non si inventa a meno che non siate dei "rivoluzionari" (l'ultimo che ho conosciuto è Steve Jobs).

Per tutto il resto è sufficiente prendere un modello già esistente e cercare di migliorarlo (quello che in gergo si chiama "evoluzione" di un prodotto).

Le risorse in rete sono infinite come infinite sono le persone che hanno voglia di condividere le proprie esperienze "di successo": partite da lì...

Dopo aver realizzato che la questione è probabilmente molto più semplice di quello che avreste pensato... cominciate a lavorarci!!

Prendete un modello che si avvicina a quello che volete fare, studiatelo nei minimi dettagli, informatevi da chi l'ha fatto e da risorse che vengono ritenute "affidabili ed autorevoli" in quella specifica materia.

Dopo aver raccolto informazioni sufficienti passate allo step successivo ovvero "semplificate"!

"Ciò che non esiste non si può rompere" (Henry Ford)

 

Ricordo che questa fu una frase riportata da un mio amico appassionato di alianti per rassicurarmi sulla presunta maggiore sicurezza del mezzo su cui mi stava portando rispetto ai tradizionali velivoli leggeri a motore..

Nell'applicazione della regola del buon senso mi detti l'obiettivo di realizzare qualcosa a manutenzione minima per poter ridurre i costi di gestione.

Questo fu il punto di partenza per la semplificazione.

Studiai i modelli che avevo trovato e cominciai a semplificarli.

Il maggior grado di sofisticazione si raggiunge non quando non c'è niente da aggiungere ma quando "non c'è niente da togliere"..

Perchè l’Arabia è un luogo migliore della Norvegia per realizzare una casa ad impatto zero…

Siamo abituati a pensare che il massimo dell’efficienza energetica si possa raggiungere nei paesi nordici e che le case “passive” abbiano senso solo nei paesi dove è tendenzialmente freddo.

Questa “strana idea” viene da una cultura in cui siamo stati abituati a pensare poco e male riguardo le energie e le loro potenzialità.

Per abitudine pensiamo che un “cappotto” sia più efficace di inverno, che il deserto porti solo disperazione e che l’efficienza energetica sia una questione solo di “involucro” e non anche una questione legata al contributo attivo delle cosiddette “fonti rinnovabili”.

Per sfatare questo mito, diciamo subito una verità incontrovertibile ovvero che fra paesi caldi e freddi c’è una notevole differenza in termini di potenzialità sulle “energie” producibili: escludendo dal ragionamento l’ eolico (il cui contributo dipende dai venti e quindi non dalle latitudini/longitudini), è evidente come l’energia solare sia maggiormente disponibile nei paesi caldi piuttosto che nei paesi freddi...

Per ragioni legate sia agli eventi atmosferici che di latitudine/longitudine, a parità di potenza di un impianto fotovoltaico, in Arabia è possibile produrre molta più energia rispetto a quella potenzialmente realizzabile in un paese nordico dove la quantità di luce diurna è più “irregolare”.

Trascurando la perdita di potenza degli impianti fotovoltaici con le eccessive temperature, l’esposizione al sole di un paese caldo èpertanto evidentemente molto maggiore rispetto alle parti del globo in cui le temperature scendono sotto lo zero..

Detto questo c’è un altro aspetto non trascurabile..

Ovunque sul globo, scendendo in profondità c’è una risorsa infinitamente preziosa che è costituita dalla terra: a pochi metri nel sottosuolo la temperatura della terra è costante ed attorno ai 15 gradi: supponendo di poterci accedere, questo vuol dire che potremmo idealmente portare questo “calore” nelle nostre case e quindi avere con un apporto costante di energia una temperatura interna nelle abitazioni prossima a quella indicata (sia nei paesi caldi che in quelli freddi).

Supponiamo ora di avere involucri abbastanza performanti sia al caldo che al freddo: il problema principale è la differenza di temperatura fra esterno ed interno ma mentre nel caso dei paesi torridi gran parte del calore è dato dall’irraggiamento solare, schermando opportunamente si può rendere minore il delta termico e quindi avere minore necessità di energia per portare la temperatura interna dagli ideali 15 gradi suddetti ad i 20 gradi considerati “confortevoli”.

A questo si aggiunge che in paesi come l’Arabia, è possibile sfruttare al massimo l’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico che quindi può produrre molta più energia di quella necessaria ad un impianto di condizionamento per funzionare.

Per i paesi freddi la situazione è più critica perchè il freddo è freddo ed al contrario dei paesi caldi dove si può mitigare la temperatura delle pareti esterne tramite le schermature, in questi casi non ci sono soluzioni ulteriori se non chiaramente intervenire sull’involucro (che però abbiamo già supposto essere stato “ottimizzato”).

Essendoci inoltre poca luce, un impianto fotovoltaico anche a parità di potenza produce molto meno e pertanto sarà maggiore il numero di ore in cui il contributo per il riscaldamento sarà coperto dalla produzione dell’impianto stesso (e pertanto maggiore la quantità di energia che dovrà essere fornita per avere i famosi “20 gradi”).

Per quanto detto, con le dovute semplificazioni, è evidente come i paesi “caldi” siano più “adatti” per sviluppi futuri che vedano impianti fotovoltaici come protagonisti.

Ovviamente questo sul “breve” termine in quanto sappiamo bene che come le macchine elettriche saranno uno step transitorio, anche gli impianti che utilizzano il sole con le attuali tecnologie saranno in futuro sostituiti da sistemi ancora diversi e maggiormente “efficienti” (idrogeno in primis).

Se in Arabia avessero una diversa mentalità, potrebbero sfruttare a pieno tutte le potenzialità del sole, vivere ad impatto zero e fornire elettricità a tutto il mondo (come ora lo riforniscono di petrolio).

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Perchè il Black Friday è una trovata commerciale (buona per chi vende)

"Compri niente per il Black Friday"? La domanda  sarebbe suonata strana solo qualche anno fa...

La risposta varia a seconda dell'interlocutore ma escludendo il 10% della popolazione che risponderebbe "se mi serve qualcosa sì altrimenti no", vale la pena capire cosa succede al restante 90% di coloro che ne vengono condizionati.

Il "Black Friday è una "usanza" del tutto americana  esportata nel nostro paese dagli stessi geni del marketing che hanno importato i costumi di halloween per il giorno dei morti.. (e che fra qualche anno importeranno anche i "tacchini" per il giorno del ringraziamento..).

Trattasi quindi di una geniale operazione commerciale di qualche milionario che odiando sia lo stesso black friday  che halloween (ma essendo dotato di un "businness acumen" superiore alla media), ha trovato un modo arguto di far leva su un qualcosa che gli consentisse di passare da milionario a miliardario...

Sì perchè in un mondo consumistico dove manca tutto (ma non manca nulla) l'occasione dello sconto fa l'uomo ladro... (o avido).

Il black friday spinge i consumi con la logica del "anche se non mi serve costa poco", facendo leva sulle nostre debolezze e proponendoci come buon affare un qualcosa che invece di 60€ ne costa 30...

Ma a parte il fatto che probabilmente quei 60 euro di partenza erano 50 il giorno prima, il punto è che se una roba non mi serve non ho guadagnato 60-30=30€ ma ho perso invece soldi acquistando a 30€ di inutile (che per intenderci se non ci fosse stato il "black friday" non avrei mai acquistato..).

Sicuramente avere sconti è un qualcosa di incredibilmente vantaggioso, a patto che questi siano reali ma soprattutto che siano finalizzati a qualcosa che serve e non che vada nel cesto dell'immondizia (passando per un lasso di tempo variabile chiuso in uno scantinato a prendere polvere).

 

Come le grande aziende cambiano la percezione della realtà con uno spot: Mercedes e l’elettrico..

Le Mercedes sono da sempre l’icona delle auto di lusso.

La casa tedesca con sede a Stoccarda è nata nel 1926 dalla fusione di due grandi realtà dell’automobile come Daimler e Benz.

Negli anni ’80 e ’90 produceva macchine grosse e pesanti con rifiniture in radica e la fama di essere solide, sicure ed affidabili.

Queste macchine “teutoniche” hanno sempre rappresentato la concretezza tedesca e sono diventate famose per rappresentare un vero e proprio “status symbol” (chi non si ricorda del famoso stemma che campeggiava in cima al cofano di tutte le vetture di quel periodo?!?)

Sebbene negli anni si sono avvicendati numerose concorrenti “premium” nel settore dell’auto, Mercedes ha sempre continuato a produrre macchine enormi, pesanti e con motorizzazioni prestazionali.

Essendo un brand di lusso o comunque un prodotto di alta gamma, il suo posizionamento sul mercato ha sempre condizionato le scelte costruttive dando molto più peso a soluzioni che rimarcassero i punti forti della casa (solidità, affidabilità, brand per pochi) piuttosto che l’economicità di esercizio (caratteristica evidentemente in contrasto con lusso ed esclusività).

La foto che vedete riporta lo slogan “Electric now has a mercedes” (l’elettrico oggi ha una Mercedes) ed era accanto ad un altro spot che rimarcava “viaggi in  businness class  al prezzo di una economy”; entrambi finalizzati a promuovere il nuovo sotto brand per l’ibrido plug in di Mercedes.

E’ una cosa interessantissima vedere come aziende multinazionali si stanno piegando alle nuove logiche di mercato cercando di sopperire alla evidente discrasia fra i concetti che i nuovi mercati del green introducono (pochi consumi) ed i vecchi valori su cui questi brand hanno fondato il proprio successo (non importa quanto consumi perchè hai una Mercedes e sei ricco).

In questo tentativo di raccordare due concetti agli antipodi Mercedes ha sfruttato tutta la sua genialità facendo leva sui propri punti di forza e ribaltando letteralmente la realtà: ... non è Mercedes che si è piegata all’elettrico ma è l’elettrico che oggi ha una Mercedes...

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La tazzina di carta ed il futuro delle costruzioni a impatto zero

In aereo verso Abu Dhabi 10 Dicembre 2019

Questo bicchiere di carta rappresenta un’evoluzione significativa nell’ambito dei bicchieri di carta di tutto il mondo.. scovata in un viaggio aereo verso Dubai, ne ho notato subito una particolarità che la rende più funzionale rispetto alle sue “antenate”: ha una corazza zigrinata marrone (sempre di carta) che serve per dissipare il calore del liquido ivi contenuto (generalmente thè o caffè).

Chi non si è mai scottato con un bicchiere o una tazza con del caffè bollente a quasi 100 gradi?!?

Questa tazzina è differente... la corazza separa le dita dalla parete di carta creando delle intercapedini dove l’aria scaldata dal liquido interno dovrebbe fluire sottraendo calore.

L’efficacia è garantita ma oltre al maggior costo  questa soluzione ha un difetto: i moti convettivi dell’aria ricaldata dal liquido vanno verso l’alto mentre le suddette vie attraverso cui passa l’aria “calda” sono tappate dal risvolto superiore del bicchiere.

Per essere ancora più efficace, l’aria scaldata dovrebbe poter uscire dall’alto anzichè dal basso, così da non ristagnare e far percepire ancora la temperatura del liquido all’interno... sebbene l’effetto della corazza per questo bicchiere sia più che sufficiente allo scopo, la soluzione sarebbe ancora migliorabile interrompendo la stessa prima che la sua estremità sia tappata dal bordo superiore (lasciando quindi l’aria maggiormente libera di fluire sottraendo calore).

Se questa soluzione fosse stata applicata ad una costruzione, essa sarebbe risultata fallimentare: gli “shield” che vengono costruiti attorno ad un edificio per abbassarne la temperatura superficiale, sono efficaci solo se l’aria ha modo di evacuare verso l’alto... è per quello che i tetti ventilati hanno aperture nella parte del colmo.

Come detto nel caso del bicchiere questa è già una soluzione che rende il prodotto ottimo rispetto all’uso ma nelle costruzioni un corretto utilizzo e posizionamento delle schermature è fondamentale..

Nel futuro, il passo ancora successivo sarà creare attorno agli edifici dei circuiti come quello del bicchiere di carta ma dove l’aria passerà a temperature diverse per raffreddare o riscaldare le pareti a seconda della stagione.

Sarà ad esempio possibile prendere l’aria esterna e farla passare sotto terra dove già a poche decine di metri può arrivare ad una temperatura di 14-15 gradi: in questo modo con il solo utilizzo di un “ventilatore” (magari alimentato ad energia solare od eolica), le superfici esterne degli edifici saranno raffreddate/riscaldate diminuendo ancora di più l’apporto di energia necessaria all’interno per raggiungere temperature confortevoli.. questi sistemi lavoreranno nelle stagioni estreme (estate ed inverno) per abbassare la differenza di temperatura fra ambienti interni ed esterni.

Per quanto banale questo sarà un concetto “rivoluzionario”: stiamo assistendo ad un periodo evolutivo dove c’è uno sforzo notevole per creare una barriera verso l’esterno sempre più performante (ci concentriamo solo sulla parte bianca del bicchiere)... il vero futuro sarà combinare un maggiore isolamento con l’abbattimento ulteriore attraverso schermature che rendano minimo o nullo l’apporto di energia per la termoregolazione degli ambienti..

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La storia dell’evoluzione di un prodotto spiegata da un dispenser..

La storia dell’evoluzione di un prodotto non finisce mai... l’evoluzione di per sè è sempre relativa ad un contesto ed i contesti cambiano.

Anni fa non c’era necessità ad esempio di avere troppa cura dell’ambiente ed i contenitori del sapone erano per lo più usa e getta.

Quindi ad esempio un  prodotto come i contenitori per saponi si sono sviluppati inizialmente seguendo una logica di profitto: con gli anni i processi produttivi sono migliorati così come i materiali per cui l’evoluzione di questi contenitori è andata nella direzione di avere plastiche più resistenti ma con un utilizzo minimo della materia prima.

L’evoluzione di un contentiore di sapone sembrava quindi conclusa fino a che non è arrivato il “green” che ha cambiato le logiche di mercato ed imposto maggiore attenzione a nuove “mode”.

Ovviamente i contentitori plastici esistono ancora ed hanno una grossa fetta di mercato ma via via che il mondo si avvicina sempre più ad un concetto “plastic free”, il prodotto deve necessariamente evolversi in altre direzioni ad esempio passando dal concetto di contenitore “usa e getta” al concetto di contenitore “riutilizzabile”.

E’ così che già da diversi anni siamo arrivati al dispenser...

Se guardiamo alla evoluzione dell’oggetto “dispenser”, possiamo prendere ad esempio diverse soluzioni.

Prendiamo questi tre esempi della foto: il primo è un normale dispenser di plastica... rispetto all’usa e getta può essere usato molte più volte ma la qualità dei componenti che costituiscono il beccuccio fa sì che almeno questo debba essere cambiato periodicamente. E’ un buon prodotto che potrebbe essere migliorabile adottando una parte inferiore in materiale ceramico (per avere la componente plastica ridotta al solo beccuccio).

Il secondo esempio risolve il problema dell’eventuale rottura del beccuccio in quanto l’erogazione avviene per gravità: in questo caso probabilmente la durata sarà maggiore ma anche  il corpo del contenitore dovrà continuare ad essere necessariamente in plastica dovendo essere “squeezable”..

Il terzo dispenser integra il concetto del primo ma con un accessorio che funge da profumatore per gli ambienti.

La soluzione migliore è come sempre la più semplice per l’utilizzo e quella con minor elementi possibile.

D’altronde qualcuno abbastanza famoso diceva che il grado maggiore di sofisticatezza non si raggiunge quando non c’è più niente da aggiungere ma quando “non c’è più niente da togliere”..

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