Office of Cards (#36/2023)

Chi ha lavorato in grandi aziende sa bene che ci sono regole scritte e non scritte che determinano la carriera e la qualità della vita di moltissime persone.

Lavorare per le “corporate” offre migliaia di vantaggi ma pone anche limiti alla crescita personale e professionale di molte categorie di professionisti.

Consuetudini, prassi e procedure tipiche di ambienti strutturati creano macchine efficienti ma pongono un freno enorme a creatività e innovazione (e al contributo o al valore aggiunto che alcuni talenti possono portare).

Spesso certe dinamiche sono ritenute fondamentali per mantenere l’ordine in strutture enormi in cui altrimenti vigerebbe l’anarchia, ma altrettanto spesso questa è una scusa per mantenere lo status quo e non abbandonare logiche di “comando e controllo” su cui sono stati fondati successi per decine di anni.

Da decine di riunioni interminabili e poco efficaci, passando per decisioni opinabili, una gerarchia poco flessibile e una leadership poco coinvolgente, le organizzazioni si distinguono spesso per la mancanza di una vera meritocrazia e prestano il fianco a critiche a volte eccessivamente aspre ma sovente altrettanto sensate.

E se da una parte le aziende dovrebbero fare qualcosa per mitigare aspetti che generano quite quitting, grandi dimissioni e poco appealing verso talenti e nuove generazioni, è altrettanto vero che chiunque si trovi all’interno di ambienti di questo tipo deve trovare il modo di starci dentro nella maniera più funzionale possibile (a beneficio di se stesso e di chi gli garantisce uno stipendio a fine mese).

In questa analisi e auto-analisi estremamente lucida, l’autore (con un background lavorativo in aziende delle dimensioni di Siemens, Vodafone, Pirelli, eBay, PayPal e Booking), condivide senza filtri riflessioni utili per migliorare il proprio approccio e aumentare la soddisfazione nel lavoro e nella vita.

Office of cards è un manuale pieno di spunti, idee e strumenti utili per trovare una propria dimensione e un proprio equilibrio indipendentemente dall’ambiente in cui ci si trova e nel rispetto di regole che spesso non si possono cambiare ma che necessitano di essere riconosciute per evitare di trasformarsi da agenti di di cambiamento a agenti di disturbo (compromettendo la qualità del lavoro di colleghi, collaboratori e responsabili).

Perchè concentrarsi su una cosa sola e sfruttare il “principio del Canada”..

Nei suoi primi 12 anni di vita Netflix noleggiava DVD via posta negli USA ed ebbe l’intuizione di estendere il servizio anche al Canada (stimando che questo avrebbe aumentato il fatturato del 10%).

L’estensione sembrava facile, essendo il Canada un paese confinante.

Ma i Canadesi avevano una loro moneta, un’altra lingua e un diverso sistema di smistamento della posta: Netflix decise allora di rinunciare a una espansione facile per dedicarsi all’upgrade del proprio business.

Aveva poche risorse e concentrò i propri sforzi nel far crescere il modello a canone mensile (che portò Netflix dalla dimensione di start up a diventare leader nel settore dell’intrattenimento).

Da quel momento, concentrarsi su una cosa sola e non disperdere energie divenne per Netflix un concetto cardine noto come “il principio del Canada”: qualcosa che viene utilizzato anche da chiunque abbia un alto grado di produttività.

P.s: per applicare il “principio del Canada” alla propria professione, consiglio la lettura di “una cosa sola” di Gary Keller (l’aneddoto invece è preso dal libro “non funzionerà mai” di Marc Randolph, primo CEO di Netflix)

Nel 2023 non si può “morire di gerarchia” al lavoro…

Durante la costruzione dell’empire state Building (1930), gli ingegneri facevano previsioni sui materiali, sui tempi necessari e anche sui morti che ci sarebbero voluti per completare la costruzione…

Adesso per fortuna sul lavoro non si muore quasi più “fisicamente”, ma spesso si muore “celebralmente”.

Oggi abbiamo cambiato tantissime cose nel nostro modo di lavorare ma quello che è rimasto pressoché inalterato è la “gerarchia”.

La gerarchia è spesso funzionale: serve per mettere ordine nel caos e ha contribuito a creare il mondo per come lo conosciamo oggi e a darci i comfort di cui godiamo.

Ma il problema è come sempre nell’uso che ne facciamo: concepire la gerarchia nel 2023 come la concepivamo anche solo 20 anni fa è un errore che rischia di portarci effetti collaterali come: inefficienza, sotto-sfruttamento dei talenti, soffocamento delle capacità umane e deperimento delle risorse intellettuali.

La gerarchia mantiene il suo perchè ma deve essere radicalmente cambiata nel suo utilizzo perché, parafrasando il titolo di un libro di Marina Capizzi, “non si può morire di gerarchia” (o, almeno, non nel 2023).

Quello che ho visto (#35/2023)

Cosa hanno a che fare la ricerca e la valorizzazione degli elementi umani con l’ambizione di perseguire una vita di successo?

Possono valori come l’empatia, la compassione, lo spirito di servizio sedersi allo stesso tavolo di consigli di amministrazione il cui compito è quello di stabilire una strategia di sviluppo aziendale o sostenere un piano di ristrutturazione industriale?

I punti di contatto fra queste sfere sono sempre stati storicamente molto lontani per effetto dell’idea che l’industria dovesse essere una macchina da profitti e il capitalismo qualcosa a servizio di gruppi ristretti di persone.

Eppure qualcosa sta cambiando nel modo in cui interpretiamo la realtà e quello che ci circonda: siamo sempre più propensi a capire l’interdipendenza che regola l’universo da quasi 13,5 miliardi di anni e a contemplare concezioni meno meccanicistiche del nostro lavoro (a favore di società sostenibili che tengano conto del benessere di tutti i propri “stakeholders”).

In forza della necessità di una rivisitazione delle nostre organizzazioni, in questo testo l’autore spinge il lettore a esplorare la sua dimensione spirituale per legarla alle attività quotidiane, facendo un collegamento diretto con la contemporanea rivisitazione dei modelli di business delle aziende e con la crescente ricerca di uno scopo che vada oltre la semplice operatività.

Un testo che segna un passo in avanti verso una leadership sempre meno di facciata e sempre più fondata sulla trasparenza, sul riconoscimento effettivo delle diversità e sull’accettazione piena della vulnerabilità come chiave per una comprensione maggiore del ruolo di ciascuno all’interno della società.

Conoscere la motivazione e i perché di ognuno è fondamentale..

Christopher Wren era l’architetto responsabile della ricostruzione della cattedrale di st.Paul dopo la sua distruzione a seguito di un incendio (Londra, 1966).

Si dice che Wren stesse percorrendo la lunghezza della cattedrale durante il suo ripristino, quando trovó tre muratori impegnati nel restauro.

Chiese ai tre cosa stessero facendo.

Il primo disse: “sto lavorando”

Il secondo: “sto costruendo un muro”

Il terzo: “sto costruendo una cattedrale per l’Onnipotente”

La morale è che ognuno ha la sua motivazione, il suo scopo e la sua unica percezione di quello che sta facendo.

Conoscerle, accettarle e supportarle è una delle cose più importanti quando si ricoprono ruoli di leadership.

Quando una Jacuzzi non basta…

Una Jacuzzi e una palestra aziendale sono sempre apprezzabili ma servono a poco se inserite in strutture gerarchiche in cui viene detto alle persone quello che devono fare senza che possano esprimere le loro capacità.

La maggioranza delle persone in età “fertile per il lavoro” vuole:

– autonomia, libertà e fiducia;

– uno scopo e una missione in cui credere;

– un problema da risolvere e uno spazio di autonomia decisionale per poterlo fare;

– interfacce intelligenti di cui riconoscono le capacità;

– la possibilità di imparare ed evolvere come persone e come professionisti.

Senza uno spazio di autonomia e responsabilità personale, ogni benefit ha vita breve perché ciò che serve è una combinazione di libertà e responsabilità che rende le persone in grado di esprimersi al massimo in quello che fanno…

…come quando vengono trattati da adulti.

Lo tocchiamo 2617 volte e passiamo mediamente 2 ore e 30 minuti al giorno davanti a un monitor.

Se prendiamo le nuove generazioni e aggiungiamo il tempo passato a guardare la TV e le serie di Netflix i numeri incrementano terribilmente (arrivando fino a circa 11 ore).

Nella maggior parte degli esseri umani questo genera ansia, FOMO, depressione e scarso senso della realtà.

Il digitale offre strumenti meravigliosi… a patto di essere in grado di trovare l’equilibrio giusto affinché non crei dipendenza e non ci distragga dalle “cose che contano” (ivi comprese le nostre relazioni dentro e fuori dal contesto lavorativo).

Post liberamente tratto da “troppo comodi” di Michael Easter.

Per ulteriori approfondimenti sul tema del nostro rapporto con il digitale: “indistraibili” di Nir Eyal, “infocrazia” e “le non cose” di Byung-Chul Han e “8 secondi” di Lisa Iotti.

Il rinnoceronte grigio (#34/2023)

Negli ultimi anni abbiamo avuto a che fare con molti “cigni neri”: eventi inattesi, isolati e imprevedibili il cui arrivo ha spiazzato tutte le conoscenze maturate, mettendo in seria discussione tutti i codici interpretativi con cui l’uomo ha sempre letto la realtà.

Ma ci sono eventi molto più importanti e frequenti dei cigni neri che sono altamente prevedibili ma che, per qualche motivo, vengono ignorati fino a che non generano catastrofi rilevanti come crisi mondiali, economiche o climatiche.

Sono i “rinoceronti grigi”: minacce altamente probabili e a grandissimo impatto che vengono regolarmente ignorate e che non riusciamo a prevenire nel modo giusto.

Esempi di rinoceronti grigi sono la crisi dei mutui sub-prime del 2008, la crisi climatica o incidenti come la strage di Viareggio e il ponte Morandi: conseguenze di rischi evidenti che invece di esser stati fronteggiati al momento giusto, si sono ingigantiti fino a generare eventi disastrosi.

Ma se sono così evidenti e facilmente prevedibili, perché leader, governi e istituzioni continuano a ignorare questi problemi fino a che non è troppo tardi?

Grazie alla sua esperienza in campo economico, finanziario e di gestione delle crisi, Michele Wucker spiega come riconoscere in tempo e affrontare questi eventi potenzialmente catastrofici, guadagnando un vantaggio competitivo e implementando una gestione dei rischi globali migliore.

Esiste un coperchio per ogni pentola ma quando le aziende devono assumere perché hanno troppe pentole da coprire, non si preoccupano troppo delle dimensioni dei coperchi..

È per questo che in molti casi non c’è un perfetto fitting fra le capacità delle persone e i lavori che sono chiamati a svolgere.

Questo genera danni di lungo termine e demotivazione diffusa

Solo perché una persona non lavora bene con voi e per voi, non significa che non esista un impiego in cui possa avere risultati eccellenti.

La colpa della mediocrità delle persone è spesso di chi le gestisce e di chi gli assegna lavori non adatti alle loro caratteristiche non sforzandosi di trovare il posto migliore per loro (anziché concentrarsi nel tappare un buco).

Troppo spesso questo succede con persone dal potenziale più alto di quello che emerge dai loro risultati.

E se si chiede a un pesce di arrampicarsi su un albero… La colpa difficilmente è del pesce.

come “dress code” e “orari” incidono sui risultati..

Non sono un “candidato”, ma se stessi cercando lavoro, non metterei nel curriculum una foto in felpa e non mi presenterei ad un colloquio chiedendo fin da subito un regime di orario flessibile.

Non sono un “recruiter”, ma se dovessi assumere qualcuno, non proporrei a tutti uno stesso standard, ma vorrei capire quali sono i panni in cui una persona si trova più a suo agio o se ha bisogno di flessibilità per esprimersi al meglio.

Dress code e orari di lavoro fissi riducono le persone a un unico gigantesco stereotipo, generano aspettative implicite e non tengono conto delle diverse esigenze, caratteristiche, talenti.

Tutto ciò che è standard limita intrinsecamente la libertà di espressione, l’originalità e nega, di fatto, una verità assoluta: quando non condizionate, le persone danno il massimo di sé.

Consentire ai collaboratori di essere se stessi, significa lavorare davvero in un ambiente inclusivo dove la diversità è promossa non solo a colpi di slogan.

Pertanto, sia che siamo in completo cachi su una poltrona di pelle umana, o in bermuda hawaiani col pc sulle ginocchia davanti all’oceano, noi restiamo gli stessi. Le nostre competenze rimangono le stesse.