“Le persone possono dubitare di ciò che dici ma crederanno in ciò che fai”

..”Sei quello che fai” è un detto che ho sempre considerato molto significativo:
non si riferisce a una singola azione ma all’insieme delle cose che facciamo ogni giorno anche quando nessuno ci vede.

Perché in un mondo social in cui possiamo ritoccare immagini, far scrivere post a Chatgpt, spacciarci per CEO, comprare follower e apparire per quello che non siamo…. quello che facciamo ha una valenza ancora maggiore.

È l’insieme delle cose che facciamo, come ci comportiamo nella vita reale e chi rappresentiamo per gli altri che ci caratterizza molto più di quello che diciamo.

molto spesso è ciò che facciamo che determina chi siamo veramente..

Perché conviene investire in creatività..

La creatività è un predittore di successo tre volte migliore del quoziente intellettivo.

Lo dice uno degli studi di Ellis Paul Torrance, psicologo statunitense che dagli anni ’50 ha iniziato a seguire le vite di moltissimi studenti, trovando che quelli più creativi avevano avuto vite personali e professionali maggiormente appaganti.

Bambini meno apprezzati nei contesti scolastici per la loro vivacità, hanno ottenuto mediamente molti più risultati di studenti calmi e preparati.

Coloro che avevano prodotto le idee migliori nei test di creatività che sottoponeva Torrance, avevano avuto percorsi non lineari, poco convenzionali e pieni di alti e bassi… ma alla fine si erano realizzati maggiormente.

Altra curiosità: nel corso dei decenni in cui si è svolta questa ricerca, si è notato come i livelli di creatività siano progressivamente diminuiti.. facendo pensare che la tecnologia abbia portato a una sorta di “crisi della fantasia”, rendendoci la vita comoda e meno noiosa ma anche meno stimolante.

Che lezioni si possono trarre dagli studi di Torrance?

1) Mollare smartphone e TV per dedicarsi ad attività diverse (anche noiose) può aiutare a recuperare “creatività”.

2) investire tempo e risorse per essere più creativi fa presagire un futuro più soddisfacente..

Gestire se stessi (#32-2023)

“Viviamo in un’epoca di opportunità mai viste prima: chi è dotato di ambizione ed intelligenza può salire fino ai vertici della professione che ha scelto, indipendentemente dal suo livello di partenza.

Ma l’opportunità porta con sé la responsabilità.

Le aziende di oggi non si curano più di gestire le carriere dei propri collaboratori: i lavoratori della conoscenza devono essere, a tutti gli effetti, gli amministratori delegati di se stessi.

Spetta a ciascuno di voi ritagliarsi il proprio posto, sapere quando cambiare direzione, mantenersi attivo e produttivo nel corso di una vita lavorativa che può durante cinquant’anni o più.

E per fare bene tutto questo, è indispensabile coltivare una profonda comprensione di se stessi, dei propri punti di forza e di debolezza, ma anche del proprio modo di imparare e di lavorare con gli altri, dei propri valori e dell’ambito in cui si è capaci di dare un contributo più rilevante.

Perché solo partendo dai propri punti di forza si può raggiungere la vera eccellenza.”

Come faccio a dare un feedback su un lavoro fatto male?!?

Le persone più esigenti e i professionisti che lavorano in gruppo, si trovano prima o poi ad affrontare questo dilemma.

La risposta non è facile ma ci sono alcune indicazioni utili che vengono dall’esperienza e dal buon senso.

Innanzitutto dovete aver costruito un rapporto di estrema fiducia con l’altra persona: chi vi sta davanti deve conoscervi nei pregi e nei difetti e deve essere sicuro di potervi criticare a sua volta senza che questo comprometta la relazione.

Una critica deve pertanto muoversi all’interno di un rapporto che dovreste aver costruito nel tempo (se non avete un legame personale, far arrivare il messaggio corretto è come tirare bendati con un arco sperando di fare centro).

Seconda cosa, bisogna cercare di essere molto specifici e attenti a non colpire la persona: deve passare il concetto che “è il lavoro ad essere penoso e non l’individuo”.

La critica perché sia efficace va espressa con chiarezza, spiegando il perché e presentandola come un punto di vista e non come un giudizio assoluto (lasciando la porta e la mente “aperte” ad accogliere una risposta).

Terza cosa è necessario essere umili, dare i feedback immediatamente (mai in differita) e possibilmente in presenza.

Critiche e feedback sono la base della leadership: non c’è leadership se non si fanno crescere le persone e non c’è crescita se non si danno elementi per migliorare (passando da obiezioni e fallimenti che servono a tutti per evolvere).

“E’ uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare”… ma se si vogliono risultati eccellenti, imparare a farlo bene è l’unica strada

Il canto del significato (#31/2023)

L’era del capitalismo è al tramonto e le aziende che vedono nel profitto l’unico faro in grado di dare direzione, sono semplicemente destinate a scomparire.

Cresceranno invece le aziende che riusciranno a mettersi al servizio delle persone, dando loro ciò che vogliono senza trucchi e senza inganni… mantenendo coerenza e uno scopo in grado di essere sufficientemente motivante per le persone che ci lavorano.

Le persone a tutti i livello vogliono significato: vogliono comprare prodotti significativi, compiere lavori significativi e sentirsi parte di qualcosa di più grande.

Il lavoro a distanza e l’instabilità economica hanno aumentato il distacco fra noi e il mondo del lavoro.

Gli stipendi o i bonus non bastano più per garantire lealtà, felicità e impegno da parte dei lavoratori.

Molti manager cresciuti in ambienti di direttivi, continuano a rispondere con chiamate al rientro in ufficio, richiami formali o sorveglianza… mentre i dipendenti rispondono con quiet quitting e dimissioni.

C’è una risposta migliore, una risposta più umana e alla portata di tutti: costruire organizzazioni significative, che diano strumenti e quella fiducia che consente alle risorse di dare il massimo del proprio contributo.

Perché, come dice Godin, “gli esseri umani non sono risorse, sono il senso di tutto”.

Lo slogan: “rinunciate ai vostri sogni e alla vostra anima e sarete in grado di comprare cose che vi daranno status e soddisfazione (o che vi faranno dimenticare a ciò a cui avete rinunciato)”, non funziona più.

Esiste un’alternativa e un tipo diverso di crescita e di sicurezza: un lavoro che conta, che può fare la differenza, che può farci sentire di far parte di qualcosa e di svolgere un lavoro di cui andare fieri.

Il “canto del significato” è ciò che motiva le persone a fare un lavoro che non può essere automatizzato, meccanizzato o esternalizzato: “è il canto che gli esseri umani desiderano intonare insieme”.

Un manifesto per i team e i loro leader per ripensare al modo in cui facciamo business.

Novak Djokovic si piega a Casper Ruud (pur avendo vinto)

Un mese fa si è giocata la finale del Roland Garros, in cui Djokovic ha festeggiato il ventitreesimo slam della carriera.

Novak ha dominato sul campo ma Casper ha vinto fuori dal campo.

A fine partita sono stati intervistati i giocatori e Casper ha preso la parola per primo: ha passato la maggior parte del suo intervento a elogiare il suo avversario per aver scritto la storia di uno sport intero, poi ha proseguito col ringraziare l’organizzazione e il proprio team.

3 minuti di intervista senza una parola su se stesso, sul secondo posto o sul suo essere il numero quattro al mondo: non una parola sul suo percorso sulla sua storia, sulla preparazione e sul gioco.

Ha concesso tutto lo spazio che aveva al suo avversario, il quale non ha potuto che fare altrettanto…

Djokovic avrebbe poi detto:

“Sei una delle persone migliori di questo tour, è bello sapere oggi che una persona ha questi valori umani”.

Se il nostro obiettivo è vincere uno Slam, scegliere Djokovic come compagno di squadra forse sarebbe la soluzione migliore.. ma in qualsiasi altro ambito o contesto, forse faremmo meglio ad ambire a un compagno come Casper Ruud.

I “role model” non sono giusti o sbagliati in assoluto… ma non sempre prendiamo a riferimento quelli migliori in rapporto a quello che dobbiamo fare o ai risultati che vogliamo raggiungere.

Un cosa a cui prestare attenzione quando scegliamo i nostri “leader”, gli “influencer” e tutte le persone che prendiamo a modello.

Crossdresser (#30/2023)

California 1° Giugno 2011

Stefano Ferri, pr di successo, conduce una selezione di imprenditori italiani alla stipula di importanti accordi.

Dettaglio non di poco, è “crossdresser” e si presenta vestito da donna.

Nel tempo si è costruito una reputazione facendo leva proprio su questa caratteristica così insolita e potenzialmente penalizzante.

Ma quel giorno le cose non vanno.

Due fanatici religiosi si impuntano affinchè venga escluso dall’evento.

La situazione precipita, l’esito dell’incontro viene compromesso, i partecipanti daranno la colpa a lui.

Da lì in poi, a valanga, Stefano viene travolto sia nel lavoro sia nel privato, ritrovandosi da solo dinanzi alla domanda più difficile: perché non riesce a indossare gli abiti del suo sesso?

ps: Stefano è stato mio compagno di TEDx a Empoli 2021 (tema “schemi”); la recensione è tratta integralmente dalla quarta di copertina e il libro è stato presentato da me a Firenze in Luglio 2023

Se non siete dell’umore giusto rimanete a casa

Quando si ricoprono ruoli di responsabilità o si coordina un gruppo di lavoro, l’umore è tutto.

Per manager lontani dall’operatività, il compito principale dovrebbe essere quello di ispirare, supportare, motivare ed essere una guida per gli altri.

Con questa premessa è facile capire come mai, se siete di cattivo umore, è meglio che vi concediate un po’ di tempo per stare a casa e rilassarvi.

Se non siete al meglio della vostra forma mentale, dovreste avere l’umiltà di riconoscerlo e di dichiarare apertamente di aver bisogno di una pausa, togliendo pressione sui vostri collaboratori e dandogli la sicurezza che la causa dei vostri problemi personali non sono loro.

Se siete in un momento in cui il carico emotivo è eccessivo, ammetterlo è fondamentale per preservare i vostri rapporti e far lavorare meglio tutti.

Prendete una pausa e respirate: se avete fatto un buon lavoro, la vostra squadra sarà perfettamente in grado di fare a meno di voi e quando tornerete saranno contenti di ritrovare una persona attiva, responsabile e pronta ad aiutarli.

Nessuna azienda ha mai chiuso per qualcuno che si prende il tempo di riflettere e tornare ad avere una mente “limpida come l’acqua”… e se avete lavorato bene prima, al rientro troverete persone più produttive e ricettive che mai.

E se non è così, almeno vi sarete “riposati”..

Le persone che fanno la differenza non prendono mai decisioni in preda alle emozioni..

Prendere decisioni immediate quando le acque non sono calme è la cosa più facile, quella più immediata e quella più istintiva…ma la maggior parte delle volte non funziona.

I miei peggiori errori professionali sono stati fatti sotto la pressione dettata da due cose:

– la fretta;

– le emozioni.

È successo quando a 35 anni ho rifiutato una buona uscita a sei cifre per motivi di orgoglio o quando non accettai di fare un passo indietro con un demansionamento temporaneo che mi avrebbe consentito di riprendere fiato.

Quando abbiamo qualcuno o qualcosa alle calcagna o siamo in uno stato emotivo agitato, la cosa migliore è fermarsi e far ragionare quella straordinaria macchina di cui siamo tutti dotati.

È controintuitivo perché va contro abitudini, convenzioni e pressioni esterne: ma quasi sempre è ciò che funziona meglio.

Il tempo che uno si dà per prendere una decisione è come la noia: è insopportabile e sembra non finire mai… ma è estremamente importante per accedere alle proprie risorse migliori e prendere decisioni più consapevoli.

Le persone più equilibrate che conosco sembrano imperturbabili ma non lo sono: semplicemente si prendono sempre il tempo necessario per decidere anche quando sono sotto pressione e in preda alle emozioni.

Calmano la mente e rimangono tranquille anche quando sono in bocca a uno squalo… e spesso, non sbagliano…

Copertina dal libro “non funzionerà mai” (la straordinaria storia di Netflix raccontata dal suo primo CEO, Mark Randolph)

Le regole che nessuno ti insegna (#29-2023)

Le regole che nessuno ti insegna è la versione romanzata di una vita d’azienda.

Attraverso un personaggio principale, viene raccontato un mese di vita lavorativa e l’incrocio di personaggi, storie e situazioni che molti di noi avranno sperimentato più volte nel corso della propria professione.

Il protagonista “Alberto Destri”, entra negli uffici della sua organizzazione e racconta una storia di vita quotidiana sul campo rappresentando talvolta una guerra, talvolta una vicenda come tante.

Nel farlo, espliciterà verità empiriche e rivelerà quelle situazioni scomode che tutti conoscono ma di cui nessuno dice.

Un viaggio interessante in archetipi e clichè… raccontato in modo ineccepibile e talvolta dissacrante.. ma sempre con l’intenzione di dare qualche pillola utile per la propria crescita personale.