Visual MBA (#19/2022)

di Jason Barron pag. 192 11 Aprile 2022

Visual MBA è un compendio di un programma MBA che usa le immagini per riassumere i concetti chiave di un master in management.

Un MBA (master in business administration) è un grosso investimento sia in termini economici che in termini di tempo.

In questo libro l’autore offre una soluzione radicale ed innovativa che a partire dagli appunti presi durante il corso, restituisce schizzi esemplificativi per ogni lezione appresa, sintetizzando visivamente i punti essenziali dei vari argomenti, mettendo in evidenza i concetti fondamentali e creando una risorsa accessibile per chiunque abbia la volontà di capire meglio alcuni dei concetti di base di marketing, economia e finanza.

Senza la pretesa di sostituire un master, questo testo restituisce argomenti utili trattati in una modalità piacevole e di sicuro impatto visivo.

Un fattore fondamentale per gestire team globali

E’ sempre più frequente, specialmente in contesti multinazionali, trovare gruppi di lavoro che collaborano senza frontiere dai luoghi più disparati del globo.

Questi “team virtuali”, devono affrontare la sfida della comunicazione attraverso media digitali e gestire non solo le diversità culturali ma anche i fusi orari ed i cambiamenti imposti dalla complessità di un mondo sempre più globalizzato ed interconnesso (fatto da mercati volubili e da progetti complessi).

Il fattore di maggior coesione in team che si trovano ad affrontare insieme tutte queste sfide, è il senso di uno scopo comune e la sicurezza di poter contare gli uni sugli altri.

Creare un ambiente flessibile che tenga conto non solo delle esigenze dei singoli ma che rispetti anche le peculiarità di ognuno (di chi ha figli e di chi non li ha, di chi deve portare a spasso il cane o di chi deve assistere la suocera, di chi deve seguire i figli nella didattica a distanza o di chi ha “l’ora sacra” del jogging etc.), è un elemento fondamentale per consentire a tutti di esprimere al meglio le proprie potenzialità, mettendo sul piatto il 100% del loro talento o di quello che possono ragionevolmente fare in rapporto alle circostanze, ai diversi momenti di vita professionale e familiare che si trovano ad affrontare.

Si parla tanto di performance ma alla fine siamo tutti umani: tutti abbiamo delle esigenze, che siano fisiche o mentali, che siano dettate da condizioni esterne o che siano frutto di moti interiori.

Tutti a prescindere dai ruoli, dalle nazioni, dalle circostanze o dal tipo di lavoro hanno più o meno lo stesso tipo di esigenze (il riconoscimento, l’approvazione sociale e la tranquillità sono aspirazioni trasversali che prescindono dalla generazione o dalla nazione di appartenenza).

Capire questo semplice concetto e tramutarlo in azioni o in “attenzione” quando si fa un meeting e ci si rivolge ai propri colleghi o collaboratori è fondamentale.

Non c’è bisogno di corsi avanzati, di skills o di competenze difficili da acquisire… ma è necessario saper cambiare la prospettiva, mettersi nei panni degli altri (che sono anche i propri) e saper essere “intellettualmente flessibili”.

La “sicurezza psicologica” è un elemento fondamentale in qualsiasi team… ed anche se quando si trasferisce la cooperazione in ambito internazionale il grado di complessità aumenta, le variabili umane e di relazione sono più o meno le stesse per tutti.

Per questo tenere conto di queste “variabili” e creare un ambiente sicuro in cui ognuno può esprimersi per quello che è realmente, diventa qualcosa che può determinare il successo o meno di un progetto, di un prodotto o di un servizio…. “worldwide”

rif 76/55/2021

Un’ azienda è come un jet con due motori..

Gli aerei sono quasi tutti bimotori anche se in linea teorica il volo sarebbe possibile anche con uno solo.

Se i reattori funzionano entrambi in modo ottimale, l’aereo volerà correttamente.

Se uno dei due reattori non funziona a dovere, l’aereo può volare lo stesso ma lo farà perdendo efficienza, velocità e “sicurezza”.

Un’azienda è come un aereo in cui il primo motore sono le persone e l’altro il profitto.

L’obiettivo di un’impresa è fare in modo che entrambi i motori, il profitto e le persone, ricevano entrambi la stessa attenzione per assicurare il massimo della sicurezza e delle prestazioni (due concetti fondamentali non solo in aereodinamica).

Per tenere l’aereo in un equilibrio perfetto, è necessario alimentare entrambi i motori affinchè lavorino insieme per produrre il risultato ottimale.

In azienda, quando il profitto serve a far lavorare meglio le persone, le persone lavorano meglio per creare più profitto… e l’impresa, come un aereo, viaggia al massimo della sua velocità ….

HCE la scienza delle interazioni umane (#18/2022)

La scienza delle interazioni umane

Quanto conta la prima impressione?

Esiste una neurofisiologia della vendita e più in generale una scienza che può dare una chiave per la comprensione delle relazioni fra due persone che approcciano qualsivoglia tipologia di interazione?

Quali sono i meccanismi consapevoli o inconsapevoli che si innescano durante un processo di vendita?

Seguendo un modello ben preciso, studiato silla base di tecniche, strumenti e principi di neuroscienze applicate al comportamento umano,  è possibile migliorare l’approccio alla negoziazione ed al business.

Grazie ad un approccio scientifico la vendita (e non solo), diventa il risultato di processi prevedibili e determinabili.

Le leggi fondamentali dell stupidità umana (#17/2022)

di Carlo M. Cipolla pag. 93 30/03/2022

Le persone si dividono in “intelligenti, banditi, sprovveduti o stupidi” in modo trasversale, senza distinzioni di genere o di casta sociale….. e sono equamente distribuiti (indipendentemente dal gruppo le loro quote percentuali rimangono le stesse).

In questo libriccino esilarante di 95 pagine (illustrazioni comprese) c’è un concentrato di saggezza ed un mix fra arte, scienza e ricerca che fa di questo testo un “must” di sociologia.

Oltre ad elencare le 4 “leggi fondamentali” della stupidità umana, l’autore divide le persone in 4 quadranti in base agli effetti che le azioni di alcune persone hanno su se stessi e sugli altri.

Così vengono definite intelligenti le persone che fanno azioni che portano benefici per se stessi ma anche per gli altri, banditi quelle che portano vantaggi per se stessi a discapito degli altri, sprovvedute persone che fanno azioni a vantaggio degli altri ma che svantaggiano se stessi e “stupidi” le persone le cui azioni recano danni a tutti.

Partendo da questa disamina, l’autore arriva ad alcune conclusioni:

“La persona intelligente sa di essere intelligente”.

Il bandito (una persona che arreca danno agli altri ma che per lo meno crea un vantaggio per se stesso), ha almeno una forma di intelligenza razionale (per quanto deprecabile).

Lo sprovveduto (colui che arreca vantaggio agli altri nuocendo per se stesso) è penosamente pervaso dal suo senso di sprovvedutezza ma almeno fa qualcosa di buono.

Lo stupido non sa di essere stupido… e ciò contribuisce potentemente a dare maggior forza , incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice.

E’ evidente quanto il contributo dello stupido sia tanto più nocivo quanto più egli non sa di essere stupido (in quanto mancante di quella “auto-coscienza” che indirizza le azioni in modo razionale).

Così, “Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo, lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita ed il lavoro, farti perdere tempo, denaro, buonumore, appetito… e tutto questo senza malizia, senza rimorso e senza ragione… stupidamente”.

Il problema di quanto si incontra uno stupido è la totale impotenza di fronte alle sue scellerate azioni… che non avendo una base razionale, impediscono di elaborare un piano “razionale” di contromisure per contrastarlo… rendendo la persona intelligente (o il bandito, o lo sprovveduto) assolutamente inerme.

Le leggi della stupidità umana non preservanoo dagli stupidi… ma mettono ironicamente a conoscenza su alcune dinamiche che ognuno di noi avrà sicuramente sperimentato (a meno che non sia egli stesso, incoscientemente, uno “stupido”).

P.S.: Carlo Cipolla è uno storico economico che ha insegnato alla University of California, Berkeley ed alla Scuola Normale di Pisa…. la versione di questo libro contiene illustrazioni di Altan (noto illustratore de “l’Espresso” e “La Repubblica”).

Perchè migliori non danno ordini..

I leader migliori non dicono cosa devi fare.

Vanno verso una meta che riconosci come la tua.. e che vedi così chiaramente da non poterti che orientare in quella direzione.

Proiettano la propria visione, fanno in modo che questa appaia come “la via migliore da perseguire” e poi la imboccano senza esitazione.

I migliori fanno leva sulla motivazione intrinseca delle persone, senza dirgi cosa fare, quando farlo e come farlo… così che queste trovino estremamente sensato e nelle proprie corde farlo semplicemente senza costrizione (perchè profondamente convinte e consapevoli delle loro azioni e del loro impatto sul raggiungimento di un obiettivo che diventa quello di tutti).

A guardar bene, i migliori danno ordini senza dare ordini..

Perchè quando hai una direzione chiara e sai già cosa fare e come farlo, gli ordini non sono più necessari..

4 regole per una comunicazione professionale efficace…

Perchè dovrei ascoltarti?!?

Tutti sanno che una comunicazione che va in un’unica direzione è solo una perdita di tempo (e di soldi).. ma in quanti si attrezzano per evitare che questo accada?

Spesso nelle nostre interazioni professionali (e non), commettiamo l’errore di strutturare la comunicazione in una direzione sola, concentrandoci più a parlare piuttosto che a verificare che chi ci ascolta sia ricettivo.

Per una miriade di motivazioni, non ci si preoccupa né di ricevere un feedback rispetto a quello che si vuole dire, né di assicurarsi che la comunicazione sia chiara e porti l’effetto sperato…. trasformando le discussioni ed i “meeting” in monologhi senza interlocutore che rischiano di far perdere a tutti un sacco di tempo.

La non chiarezza o la poca ricettività hanno effetti anche sul “dopo”, perché un messaggio non chiaro o “unidirezionale” può fare più danni di un messaggio non detto, facendo perdere credibilità e minando tutte le interazioni future (chi ti ascolterà quando alla prima occasione hai bruciato tutte le possibilità di uno scambio proficuo?!? e tu avresti voglia di sentire un’altra persona dopo che ha monopolizzato il tuo tempo senza interessarsi a cosa ne pensi di un dato argomento?!?).

Quando il messaggio è importante (ad esempio se riguarda le proprie aspettative di carriera o un feedback per migliorare l’operato di un collaboratore), e si vuole “arrivare” all’interlocutore, è fondamentale:

– prendersi tempo per spiegare prima di tutto a se stessi cosa si vuole dire (chiarirsi l’obiettivo aiutandosi eventualmente con 2/3 punti cardine su cui sviluppare la discussione);

– preparare il discorso (magari provandolo o chiedendo una opinione ad una terza parte non coinvolta);

– inserire nel discorso elementi di interattività e scambio (facendo in modo che il messaggio preveda una “partecipazione” dell’altra persona);

– verificare che l’interlocutore abbia recepito (facendogli domande ed assicurandosi che l’altro abbia compreso a fondo quello che volevamo dire).

Qualsiasi messaggio, è come un seme: se lo butti in terra senza preparare il terreno, difficilmente è possibile raccoglierne dei frutti (in tal caso tanto vale occuparsi di altro.. risparmiando il tempo della “semina”).

Purtroppo la preparazione richiede tempo e fatica che pochi hanno voglia di spendere… ma è un passaggio necessario per dare un senso a quello che diciamo (ed in definitiva a quello che facciamo).

Un messaggio dato male ha lo stesso effetto di una prima brutta impressione: dà pochissimo spazio ad una seconda possibilità..

In sintesi, prima di parlare bisognerebbe sempre chiederci perchè il nostro interlocutore dovrebbe ascoltarci… ed in caso di dubbio tenere presente che è quasi sempre meglio tacere che minare ogni possibilità di interazione futura..

#comunicazione#feedback

Tutti contano (#16/2022)

di Bob Chapman e Raj Sisodia pag. 221 29 Marzo 2022

“Tutti contano”: queste sono le parole che praticamente ogni amministratore delegato proclama al mondo..

 “senza di loro”, è la conseguenza logica, “non raggiungeremo gli obiettivi”.

Di fatto sono ben pochi i capi di organizzazioni che potrebbero dire il contrario.

Ma un conto è coprendere il valore delle persone che formano l’organizzazione ed un conto è prendere realmente decisioni che siano sensibili alle loro necessità.

Bob Chapman è il CEO e proprietario di BarryWehmiller ed ha stilato i principi guida della leadership della sua azienda attorno all’affermazione: “valutiamo il successo in base al modo in cui influenziamo la vita delle persone” trasformando usando le iniziali di “Barry-Wehmiller per definire lo scopo di avere un “Better World” (lo slogan è “building a Better World through business”)

La leadership secondo Chapman crea un ambiente dinamico che:

  1. Si fonda sulla fiducia
  2. Mette in luce ed esalta la parte migliore di ciascuno
  3. Conferisce un luogo significativo ai singoli e all’insieme del personale
  4. Ispira un senso di fierezza
  5. Chiama in gioco i singoli e  il gruppo
  6. Dà ad ognuno la libertà di realizzare un “genuino successo”

Secondo Chapman “l’obiettivo della sua impresa è la crescita personale degli impiegati”

Ma come si fa a tradurre una visione così evitando che non rimanga un manifesto da attaccare al muro?

Chiedendo alle persone “cosa facciamo che non va in questa direzione?”

Ognuno al suo posto (di lavoro): origini e vie di uscita per la “great resignation”

“Se sei la persona più intelligente della stanza.. allora hai sbagliato stanza…”

Così Marissa Mayer, parafrasò un concetto che sottolineava l’importanza di scegliere l’azienda o il ruolo giusto per non trovarsi in situazioni di stallo, di frustrazione e di “sotto performance”.
(Marissa è stata amministratrice delegata di Yahoo dal 2012 al 2017 ed una dei primi venti impiegati di Google).

Steve Jobs espresse lo stesso concetto dal punto di vista delle aziende, dicendo “non assumiamo le persone per dirgli cosa fare ma assumiamo le persone affinché siano loro a dirci cosa dobbiamo fare” (sottolineando implicitamente l’importanza di assumere le persone in base ai loro punti di forza).

Dipendenti ed aziende fanno spesso errori dovuti alla scarsa “calibrazione” (i primi scelgono le stanze sbagliate mentre le seconde scelgono i “coinquilini” sbagliati).

I dipendenti cercano di incastrare le proprie esperienze e le proprie caratteristiche in job titles che non gli appartengono, rinchiudendosi spesso in scatole troppo piccole e rinunciando all’esplorazione delle proprie reali “capacità” almeno fino al momento di quel “burn out” che poi le spinge a dimettersi…

Viceversa le aziende si “autolimitano”, assumendo in base alle esigenze del momento e cercando persone che facciano quello che gli viene detto di fare (facendo supposizioni sulle competenze che i candidati dovrebbero teoricamente aver acquisito in base alle esperienze che raccontano..).

Qualunque persona dovrebbe presentarsi ad un colloquio, non solo descrivendo le proprie esperienza ma anche esplicitando i propri punti di forza e di debolezza (a costo di rischiare di perdere un’opportunità che può gratificarli solo nel breve termine).

Contemporaneamente le aziende dovrebbero andare oltre i “job titles” scritti per coprire l’esigenza del momento e cercare di comprendere a fondo le caratteristiche dei candidati con una prospettiva di lungo termine…

Alternativamente dipendenti ed aziende dovranno accontentarsi: gli uni di un “posto fisso” in cui vivere costantemente frustrati… e le altre di ritrovarsi dopo pochi anni con delle persone che rendono meno del 50% di quello che potrebbero rendere.

La “great resignation” è un fenomeno che si può prevenire… e che dipende sì dalle aziende, ma anche dalle scelte che facciamo quando scegliamo per chi lavorare…

Come creare un team perfetto rispondendo a 5 domande

Google ha scoperto che le performance più elevate all’interno dei propri team di lavoro, sono correlate a risposte affermative a queste cinque domande:

  1. struttura e chiarezza: “obiettivi, ruoli e piani nel nostro team sono chiari?”
  2. Sicurezza psicologica: “nel nostro team possiamo assumerci dei rischi senza sentirci insicuri o imbarazzati?”
  3. Significato del lavoro: “lavoriamo a qualcosa che è importante a livello personale per ciascuno di noi?”
  4. Lealtà: “possiamo contare gli uni sugli altri per svolgere nei tempi previsti un lavoro di qualità?”
  5. Impatto del lavoro: “siamo fondamentalmente convinti che il lavoro che svolgiamo sia importante rispetto all’azienda per cui lavoriamo?”

Il progetto “Aristotele”, condotto su 180 team sparsi in tutto il mondo, ha dimostrato che più erano le risposte a queste domande erano affermative, e più i team erano performanti..

Sebbene il risultato non sorprenda perché frutto di logica e buon senso, è difficile che all’interno dei gruppi di lavoro in azienda si possa rispondere affermativamente a tutte e 5 le domande.. e le 5 domande possono essere spunti da cui partire per mettere in atto cambiamenti che vadano nella direzione del “sì”.. (migliorando conseguentemente i risultati dei propri gruppi di lavoro)

P.s: se non sapete da dove iniziare vi farà piacere sapere che, affinando ulteriormente la ricerca, il fattore della “sicurezza psicologica” corrispondente alla seconda domanda, è risultato il più importante…

fonte: rivoluzione OKR di John Doerr