Quando un aggettivo rivolto ad un’altra persona può qualificarti..

“Scusatela, ha avuto una reazione uterina..”

Pensando di essere simpatico, un dirigente di un fornitore ha giustificato così il comportamento poco professionale tenuto da una sua collaboratrice nei confronti del mio gruppo di lavoro.

Nell’ambito di una discussione tecnica, la collaboratrice in questione aveva peccato di presunzione, minacciando la sospensione di alcune attività senza nessun motivo.

Per quanto fuori luogo, non avevamo dato troppo importanza alla reazione se non per far osservare alla sua dirigenza il mancato rispetto di accordi precedentemente presi.

Fin qui normali questioni di businness… almeno fino a che  il suddetto dirigente non è intervenuto col commento che avete letto, aggravando non di poco la situazione.

Il bieco quanto inefficace tentativo di scuse sui modi tenuti dalla collega non erano peraltro in discussione visto che noi per primi ci eravamo concentrati sui contenuti, liquidandone i modi  con un semplice “avrà avuto una brutta giornata”.

Sì perchè businness a parte, capita a tutti di avere “una brutta giornata” e di rispondere male ad un cliente o ad un collega (sia che tu abbia l’utero, sia che tu abbia la prostata).

Quello che invece non dovrebbe capitare è che un “dirigente” etichetti con aggettivi discriminatori un comportamento umano.

Capita a tutti di scherzare sulle caratteristiche che distinguono uomini e donne ma un conto è farlo nell’ambito di una cena fra amici (in cui tutti si divertono) ed un conto è farlo in maniera offensiva in ambito professionale (oltretutto con una collega nella propria squadra non presente al momento della discussione).

Come esseri umani evoluti prima che come professionisti, dovremmo avere più rispetto, imparare ad usare le parole ed avere una visione di lungo termine nei rapporti di businness (il che vuol dire anche perdonare atteggiamenti non idonei se nei contorni leciti di una discussione professionale).  

Il dirigente in questione non ha solo offeso una collega: ha offeso il genere a cui appartiene, la professionalità della sua classe gerarchica e l’immagine dell’azienda che rappresenta..

Un semplice aggettivo può veramente fare la differenza, qualificando molto di più la persona che lo proferisce piuttosto che quella a cui era rivolto.

“Voleva sempre migliorare e riusciva a farlo”..

Roy Williams racconta la storia di un giovane giocatore di pallacanestro al North Carolina college (quando Michael detto “Mike” era un ragazzo smilzo in via di sviluppo).

“Quando mi disse di voler diventare il più bravo della squadra gli dissi che doveva impegnarsi più che al liceo”.

Mi rispose che si stava impegnando come gli altri e gli dissi “scusa, pensavo avessi detto che volevi diventare il migliore..”.

Senza muoversi di una virgola lui ribattè: “lavorerò più di chiunque altro”…. e così fece.

Michael Jordan detto “Mike” non era solo un talento: si allenava duro e ad ogni partita raccoglieva informazioni, migliorando costantemente fino ad arrivare a segnare la storia dell’NBA.

Lavorava con dedizione e non gli interessava il jet set: si allenava ed “andava avanti a Seven up”…. ed è così che da “Mike” è diventato Michael Jordan.

Parafrasando un vecchio spot si potrebbe dire “il talento è nulla senza un apprendimento e costanza”..

Anche se ognuno di noi ha un talento nascosto (ed il casino è trovarlo e trovarsi “al posto giusto”), non c’è dubbio che per ottenere qualsiasi risultato si debba passare da apprendimento e duro lavoro .

Non ci sono scorciatoie… anche se sei Michael Jordan..

Leadership e fiducia: un binomio imprescindibile

“Si è un leader quando si è seguiti dagli altri volontariamente”…

Quando cerchiamo una definizione di leader, generalmente ci perdiamo nella retorica.

Qualunque sia la definizione etimologicamente più adatta, è innegabile che un pre-requisito fondamentale che sta alla base della leadership è la FIDUCIA.

Un leader è tale quando le persone lo seguono non perchè devono (o perchè sono pagati per farlo), ma perchè in lui/lei viene riposta la massima fiducia .

Sebbene sfidante, un leader è capace di far percepire il proprio operato e le proprie richieste come finalizzati ad un obiettivo più grande: qualcosa in cui le persone credono e che tiene conto dell’interesse di tutti.

Molto spesso si fa fatica a razionalizzare perchè identifichiamo qualcuno come un leader, ma se colleghiamo leadership e fiducia la conclusione è molto semplice: la fiducia è un sentimento e non un’esperienza razionale che può essere descritta, sintetizzata e formalizzata…

…è un qualcosa che è indipendente da “come vanno le cose” e che spiega pertanto come mai a volte abbiamo fiducia in alcune persone anche quando le cose vanno male mentre non ci fidiamo di altre quando tutto va come dovrebbe andare.

“Non si assume qualcuno per le competenze ma per le sue caratteristiche”

Adesso è una di quelle frasi che “va di moda” ma in realtà fu proferita da Herb Kelleher, quando divenne capo di Southwest airlines ormai circa 30 anni fa.

Southwest era una delle peggiori compagnie aeree degli US.. fino a che non arrivò Kelleher e trasformò le sue parole in un piano operativo per l’assunzione delle persone (e per la riqualificazione/riposizionamento di quelle già impiegate).

“Non si può fare un buon prodotto se la gente non viene a lavorare con piacere”.

Kelleher era considerato un eretico perchè partiva dall’assunto che un’azienda avesse prima di tutto la responsabilità di rendere i propri dipendenti soddisfatti (raccogliendoli attorno a “valori” e “ad un perchè” anzichè assegnandogli solo compiti operativi da svolgere).

Oggi c’è una maggiore tolleranza per gli eretici (ci si limita a guardarli storto… almeno fino a non cambiano ciò che era stato assunto per “vero” fino a quel momento..).

Si è capito che la terra non è piatta e che bisogna partire dalle persone e motivare, ispirare e differenziare in base a quelle che sono le loro caratteristiche.

D’altronde, vale la pena ricordarlo, “non si può fare un buon prodotto se la gente non viene a lavorare con piacere”…

Talento o preparazione?

E’ un talento naturale o uno che si è “preparato” tanto? Cosa conta di più?

La maggior parte delle risposte alla domanda “chi è un talento” è: “uno a cui vengono le cose facili”.

Dopo aver letto le biografie di Messi e Ronaldo, esempi calcistici di chi ha questa dote, devo concordare con Julio Velasco che diceva che “la persona dotata di talento è una persona a cui le cose vengono facili ma che non per questo non si prepara..”.

Questo vale per tutti: calciatori e professionisti.

I calciatori (soprattutto i talenti), nascono con la palla fin da piccoli e si sono formati con ore ore ore di allenamento.

Il fatto che da grandi non abbiano bisogno di allenarsi tanto, ci fa trascurare l’enorme lavoro che hanno già fatto, portandoci a dire “tanto loro lo possono fare perchè hanno talento”.

Sempre Julio Velasco una volta disse: “la palla deve andare veloce ma anche il giocatore deve andare verso la palla”.

Così vale trasversalmente in tutti i settori: una dote o un talento sono quel qualcosa in più che può trasformare una persona in un “top performer”… ma solo a patto che ci sia #preparazione e #formazione.

Abbassando la scala e sostituendo la parola #talento” con #competenza“, il discorso non cambia…

Intelligenza artificiale e dintorni: caratteristiche e competenze che distingueranno l’uomo dalla macchina (nelle professioni del futuro)

Mi capita spesso di pensare con interesse all’AI  (intelligenza artificiale) e di leggere testi sulla sua evoluzione della tecnologia nel breve termine.

C’è una crescita esponenziale che in pochi anni ci porterà dove pensavamo inimmaginabile arrivare: lo “skynet” di terminator potrà prendere forma molto presto anche se per nostra fortuna non si parlerà di macchine distruttrici della razza umana quanto piuttosto di sinergie fra uomo e macchina.

D’altronde già oggi un piccolo mircofono di nome Alexa sembra conoscere molto bene i nostri gusti … ed un motore di ricerca con un nome che sembra uno scherzo, custodisce segreti molto più dei nostri più intimi amici.

La macchina non prenderà il posto dell’uomo ma sicuramente avrà un ruolo predominante in molti di quelli che considerimao i “nostri” lavori (così come avvenne quando si passò dall’era agricola a quella “industriale” o nei molteplici passaggi dell’evoluzione umana).

Sulla base di quello che i colossi del digitale stanno già facendo (e magistralemente descritto nel libro “the four” di s. Galloway), qualche visionario sta già provando a delineare scenari del prossimo futuro (se volete sapere dove abiterà e quale sarà la società di vostro figlio consiglio i due testi in italiano di Kevin Kelly).

La cosa sicura è che dovremmo imparare a reinventarci… e ad un ritmo molto più veloce di quanto fatto in passato nei diversi passaggi delle “ere tecnologiche”.

Come? Sfruttando quelle che sono le caratteristiche che difficilmente saranno replicabili dalle macchine.

Qualche suggerimento ce lo dà un’esperto della materia: Satya Nadella (CEO di microsoft) nel libro “Hit refresh” delinea quelle che sono le caratteristiche “chiave” di un futuro dominato dalle interazioni fra uomo e macchina:

  1. Empatia: intesa come capacità di pecepire pensieri e sentimenti altrui e collaborare ed instaurare rapporti veri e duraturi (anche con le macchine!!)
  • Apprendimento: per capire l’evoluzione e gestire un’innovazione al di là della nostra comprensione attuale
  • Creatività: come capacità di inventare e reinventarsi.. utilizzare e combinare le risorse in modo dinamico e “fuori dagli algoritmi” (in cui le macchine saranno inevitabilmente più brave di noi).
  • Giudizio e responsabilità sociale: per assumersi la responsabilità di ciò che faranno “le macchine” e definire le regole alla stregua delle “tre leggi della robotica” che un tale di nome Asimov aveva scritto ormai quasi 100 anni fa

La tecnologia arriverà ovunque ma certe caratteristiche complesse (quelle che ci distinguono come esseri umani) saranno quelle che faranno la differenza anche nel “futuro” delle nostre professioni.

La forza dei profili “T-shaped”

Non sapevo dell’esistenza dei T-shaped” fino a che non mi sono imbattuto in un articolo di Eggupp…

In sostanza il “T-shaped” è una persona con elevate competenze trasversali ma con una spiccata professionalità in un ambito specifico.

E’ colui che riesce a padroneggiare la multidisciplinarietà e adattarla al mondo lavorativo, senza per questo diventare un tuttologo.

Se sei un “T-shaped” sei costantemente alla ricerca di:

  1. Errori: non hai paura e se ce l’hai, la affronti anche a costo di sbagliare!
  2. Lacune: la fama di conoscenza e l’innata curiosità ti porta a scovare i “bugs” ed a cercare di migliorarli
  3. Organizzazione: sei capace di programmare il tuo percorso formativo e di trovare il giusto tempo da dedicare a diverse attività.. lavori e ti aggiorni continuativamente ma sempre con un “focus”
  4. Socialità: sei capace di relazionarti e mantenere relazioni sane “senza dover offrire caffè a tutti”… ti confronti con gli altri per condividere esperienze “di valore”
  5. Intraprendenza: quando sai di avere acquisito le giuste capacità, le metti a disposizione del gruppo, con l’ottica di spingerlo sempre oltre.

I profili a T, se ben integrati in un gruppo, portano un valore aggiunto enorme: collaborano in modo interfunzionale nel gruppo pur rimanendo forti nella loro specializzazione.

Se l’esperienza è sicuramente un valore aggiunto, la loro competenza in un determinato settore, unita alla multidisciplinarietà, permette di far avanzare le discussioni, far emergere nuove idee a beneficio del resto dell’organizzazione.

Cosa ci dà fastidio dei super-compensi di CEO, politici, C-Level e “leaders” in generale?!?

Perchè ci arrabbiamo tanto quando sentiamo di politici, banchieri, amministratori delegati ed in generale di “leaders” che prendono stipendi milionari spesso sacrificando dipendenti ed aziende per i propri interessi?

E’ davvero una cosa relativa solo ed esclusivamente allo stipendio?

No…. non ha niente a che fare con i numeri…

La nostra rabbia è relativa non tanto al fatto che prendano 20 volte il nostro compenso quanto piuttosto alla violazione che queste persone fanno del concetto di leadership (che fa “cadere” il motivo fondante per cui sono “posizionati” così in alto nella società).

Queste persone violano un “contratto sociale”.. perchè sacrificano le proprie persone per proteggere i propri interessi: è questo che ci offende tanto… non è una questione di numeri!

Nessuno si offenderebbe se Ghandi avesse preso un bonus da 250.000€ o se Madre Teresa di Calcutta ne avesse preso uno da 500.000…

I grandi leader non sacrificherebbero mai le persone per salvaguardare in numeri: preferiscono sacrificare i numeri per salvaguardare le persone.

Bob Chapman gestisce un’azienda manifatturiera negli US che nel 2008 ha perse il 30% degli ordini: il consiglio si riunì e cominciò a parlare di licenziamenti ma Bob si rifiutò perchè non ragionava in termini di “numero di lavoratori” ma in termini di “numero di persone”…

Quello che fece è dire a tutti i dipendenti di prendersi un periodo di 4 settimane di ferie non retribuite: un sacrificio di tutti per non dover licenziare il 30% del proprio personale.

Con questa manovra l’azienda risparmiò diversi soldi e fu in grado di rilanciarsi grazie anche al rinnovato contributo delle persone che credevano nella propria leadeship..

Cosa ha fatto l’azienda di Bob che altre aziende nelle stesse condizioni non ha fatto?!?  Ha avuto un capo che ha creduto nelle persone e la reazione naturale delle persone è stata quella di fidarsi ed iniziare a collaborare fra di sè: chi aveva più disponibilità si è preso 5 settimane lasciando una settimana non retribuita a chi era economicamente più debole.

La leadership è una questione di decisione e non di rango..

Qualcuno si stupirebbe se persone come Bob dopo la ripresa guadagnasse un bonsu di 2M€?!?

Certamente no…

Li chiamiamo leader perchè “vanno per primi” e perchè si prendono i rischi prima di chiunque altro..

Si chiamano leader perchè sceglieranno di sacrificarsi così che le persone si possano sentire sicure e protette e che possano tornare ad essere vincenti.. e quando le persone tornano ad essere vincenti, l’effetto è quello di essere disposte a sacrificarsi per i propri leaders..