Novak Djokovic si piega a Casper Ruud (pur avendo vinto)

Un mese fa si è giocata la finale del Roland Garros, in cui Djokovic ha festeggiato il ventitreesimo slam della carriera.

Novak ha dominato sul campo ma Casper ha vinto fuori dal campo.

A fine partita sono stati intervistati i giocatori e Casper ha preso la parola per primo: ha passato la maggior parte del suo intervento a elogiare il suo avversario per aver scritto la storia di uno sport intero, poi ha proseguito col ringraziare l’organizzazione e il proprio team.

3 minuti di intervista senza una parola su se stesso, sul secondo posto o sul suo essere il numero quattro al mondo: non una parola sul suo percorso sulla sua storia, sulla preparazione e sul gioco.

Ha concesso tutto lo spazio che aveva al suo avversario, il quale non ha potuto che fare altrettanto…

Djokovic avrebbe poi detto:

“Sei una delle persone migliori di questo tour, è bello sapere oggi che una persona ha questi valori umani”.

Se il nostro obiettivo è vincere uno Slam, scegliere Djokovic come compagno di squadra forse sarebbe la soluzione migliore.. ma in qualsiasi altro ambito o contesto, forse faremmo meglio ad ambire a un compagno come Casper Ruud.

I “role model” non sono giusti o sbagliati in assoluto… ma non sempre prendiamo a riferimento quelli migliori in rapporto a quello che dobbiamo fare o ai risultati che vogliamo raggiungere.

Un cosa a cui prestare attenzione quando scegliamo i nostri “leader”, gli “influencer” e tutte le persone che prendiamo a modello.

Crossdresser (#30/2023)

California 1° Giugno 2011

Stefano Ferri, pr di successo, conduce una selezione di imprenditori italiani alla stipula di importanti accordi.

Dettaglio non di poco, è “crossdresser” e si presenta vestito da donna.

Nel tempo si è costruito una reputazione facendo leva proprio su questa caratteristica così insolita e potenzialmente penalizzante.

Ma quel giorno le cose non vanno.

Due fanatici religiosi si impuntano affinchè venga escluso dall’evento.

La situazione precipita, l’esito dell’incontro viene compromesso, i partecipanti daranno la colpa a lui.

Da lì in poi, a valanga, Stefano viene travolto sia nel lavoro sia nel privato, ritrovandosi da solo dinanzi alla domanda più difficile: perché non riesce a indossare gli abiti del suo sesso?

ps: Stefano è stato mio compagno di TEDx a Empoli 2021 (tema “schemi”); la recensione è tratta integralmente dalla quarta di copertina e il libro è stato presentato da me a Firenze in Luglio 2023

Se non siete dell’umore giusto rimanete a casa

Quando si ricoprono ruoli di responsabilità o si coordina un gruppo di lavoro, l’umore è tutto.

Per manager lontani dall’operatività, il compito principale dovrebbe essere quello di ispirare, supportare, motivare ed essere una guida per gli altri.

Con questa premessa è facile capire come mai, se siete di cattivo umore, è meglio che vi concediate un po’ di tempo per stare a casa e rilassarvi.

Se non siete al meglio della vostra forma mentale, dovreste avere l’umiltà di riconoscerlo e di dichiarare apertamente di aver bisogno di una pausa, togliendo pressione sui vostri collaboratori e dandogli la sicurezza che la causa dei vostri problemi personali non sono loro.

Se siete in un momento in cui il carico emotivo è eccessivo, ammetterlo è fondamentale per preservare i vostri rapporti e far lavorare meglio tutti.

Prendete una pausa e respirate: se avete fatto un buon lavoro, la vostra squadra sarà perfettamente in grado di fare a meno di voi e quando tornerete saranno contenti di ritrovare una persona attiva, responsabile e pronta ad aiutarli.

Nessuna azienda ha mai chiuso per qualcuno che si prende il tempo di riflettere e tornare ad avere una mente “limpida come l’acqua”… e se avete lavorato bene prima, al rientro troverete persone più produttive e ricettive che mai.

E se non è così, almeno vi sarete “riposati”..

Le persone che fanno la differenza non prendono mai decisioni in preda alle emozioni..

Prendere decisioni immediate quando le acque non sono calme è la cosa più facile, quella più immediata e quella più istintiva…ma la maggior parte delle volte non funziona.

I miei peggiori errori professionali sono stati fatti sotto la pressione dettata da due cose:

– la fretta;

– le emozioni.

È successo quando a 35 anni ho rifiutato una buona uscita a sei cifre per motivi di orgoglio o quando non accettai di fare un passo indietro con un demansionamento temporaneo che mi avrebbe consentito di riprendere fiato.

Quando abbiamo qualcuno o qualcosa alle calcagna o siamo in uno stato emotivo agitato, la cosa migliore è fermarsi e far ragionare quella straordinaria macchina di cui siamo tutti dotati.

È controintuitivo perché va contro abitudini, convenzioni e pressioni esterne: ma quasi sempre è ciò che funziona meglio.

Il tempo che uno si dà per prendere una decisione è come la noia: è insopportabile e sembra non finire mai… ma è estremamente importante per accedere alle proprie risorse migliori e prendere decisioni più consapevoli.

Le persone più equilibrate che conosco sembrano imperturbabili ma non lo sono: semplicemente si prendono sempre il tempo necessario per decidere anche quando sono sotto pressione e in preda alle emozioni.

Calmano la mente e rimangono tranquille anche quando sono in bocca a uno squalo… e spesso, non sbagliano…

Copertina dal libro “non funzionerà mai” (la straordinaria storia di Netflix raccontata dal suo primo CEO, Mark Randolph)

Le regole che nessuno ti insegna (#29-2023)

Le regole che nessuno ti insegna è la versione romanzata di una vita d’azienda.

Attraverso un personaggio principale, viene raccontato un mese di vita lavorativa e l’incrocio di personaggi, storie e situazioni che molti di noi avranno sperimentato più volte nel corso della propria professione.

Il protagonista “Alberto Destri”, entra negli uffici della sua organizzazione e racconta una storia di vita quotidiana sul campo rappresentando talvolta una guerra, talvolta una vicenda come tante.

Nel farlo, espliciterà verità empiriche e rivelerà quelle situazioni scomode che tutti conoscono ma di cui nessuno dice.

Un viaggio interessante in archetipi e clichè… raccontato in modo ineccepibile e talvolta dissacrante.. ma sempre con l’intenzione di dare qualche pillola utile per la propria crescita personale.

Quando e perchè sviluppare l’intuito..

Ognuno di noi è chiamato a prendere circa 35000 decisioni al giorno: qualcosa che sovraccaricherebbe anche il quoziente intellettivo più alto.

Essere “agili” o “lean” significa prendere decisioni qualitativamente buone in un lasso di tempo ridotto..

Per essere efficaci, oltre a concentrarsi sull’aumentare la qualità delle decisioni che prendiamo (un CEO o un imprenditore ad esempio non dovrebbero mai decidere anche sul colore della cancelleria), è fondamentale appoggiarsi all’intuito.

L’intuito è una macchina potente ancora troppo poco sfruttata sia in ambito personale che professionale perchè quando ne facciamo uso da giovani, spesso ci porta fuori strada e finisce che rinunciamo a dargli retta.

In realtà è uno degli strumenti più efficaci per chi vuole fare la differenza: basta solo imparare a usarlo, sfruttando gli altri quattro sensi (oltre all’udito) e facendo leva sull’esperienza.

La quantità di esperienze e gli anni di vita, se sfruttati come lezioni e non come fallimenti, aiutano a creare “pattern” e a far raddrizzare il tiro su come interpretare le sensazioni: sono la chiave per far sì che l’intuito diventi uno strumento sempre più preciso a supporto delle decisioni che contano.

L’uso degli altri quattro sensi serve invece per minimizzare gli errori che possono derivare dai nostri pregiudizi.

Le persone che vogliono essere agili (e quelle che ambiscono a posizioni di leadership), devono imparare ad allenare e a domare l’intuito dopo aver sviluppato tutti e i cinque sensi ed aver fatto “fine tuning” con l’esperienza.

Se pensate che sia tutta teoria vi sbagliate: ci sono corposi trattati che parlano di quanto questo abbia basi scientifiche e sia una vera e propria chiave di volta per lo sviluppo delle relazioni e per la propria crescita a qualsiasi livello (uno dei tanti, “pensieri lenti e veloci” del premio nobel Kahneman, che spiega come se la cava il cervello fra intuito e parte razionale).

Sviluppare l’intuito è fondamentale per andare al “prossimo livello” sia nella carriera professionale che per migliorare le relazioni in quella privata.

A lavoro risulta molto utile quando si va a un colloquio, quando si deve fare recruiting, quando ci si trova a collaborare con altre persone o quando si entra in una “board room”.

Nella vita privata è fondamentale per riuscire a circondarsi sempre di persone che “fanno la differenza”..

smetti quando sei stanco… perché se non smetti, il rischio è quello di non finire proprio…

Perseveranza e determinazione sono fondamentali… ma solo quando siamo sicuri di non rischiare il “burn out”.

Dopo aver lavorato per molti weekend di seguito, ieri ho deciso che poteva bastare.

Non vado fiero di lavorare nel fine settimana, ma i troppi impegni e una mentalità educata fin dall’infanzia alla “perseveranza” e alla “resilienza”, a volte costringe in gabbie mentali difficili da superare.

Mi hanno sempre insegnato a smettere quando avevo finito, ma così facendo ho iniziato a diventare inefficiente, stressato e con qualche problemino di salute mentale (o “burn out”, se si vuole trovare un termine più adatto a un “professionista”).

“Non smettere quando sei stanco ma smetti quando hai finito” NON è un buon consiglio: è un buon consiglio invece smettere prima di essere “sfiniti” (e sopraffatti).

Perché la perseveranza è nulla, “senza il controllo”…. dei propri limiti.

Confucio l’avrebbe detta così.

Non morire di gerarchia (#28-2023)

Le gerarchie possono uccidere… ma quel che è peggio è che possono paralizzare intere aziende.
 
Non tutte le gerarchie sono così e più che la gerarchia in sé, è l’utilizzo che ne viene fatto che porta quegli effetti collaterali che rendono il beneficio di gran lunga inferiore alle inefficienze che creano.
 
Le nostre organizzazioni sono sempre state gerarchiche perché impostate sulla necessità di mettere ordine in un mondo relativamente stabile che aveva bisognoso di produrre e distribuire quanto più razionalmente possibile quei beni che oggi sono alla portata di tutti.
 
I problemi sono sopraggiunti quando questo modello non è stato più in grado di rispondere alle sfide di mercati volubili e quando le persone che occupavano i piani alti della piramide hanno cominciato a considerarla come uno strumento per difendere i propri confini territoriali e mantenere i propri privilegi.
 
Questo ha creato conflitti interni, scarsa efficienza e strutture pachidermiche in cui si chiede a chi sta in alto di prendere o decisioni su questioni di scarso valore aggiunto, o decisioni di alto valore su cui si hanno poche informazioni (a causa dell’effetto “telefono senza filo” e della paura indotta)…. generando quella frustrazione che spinge i livelli sottostanti a dimissioni, quite quitting o burn out.
 
Un sistema così “organizzato” allontana la meritocrazia, toglie entusiasmo alle persone e rende le cose molto complesse: chi è vicino al cliente si trova impossibilitato a procedere in autonomia e il processo decisionale diventa lento e poco “agile” o razionale.
 
Un’organizzazione così fatta crea silos, sposta l’attenzione dall’interesse alle posizioni (a qualsiasi livello) e inibisce la possibilità di prendere le decisioni migliori.
 
Ultimo ma non per importanza, crea dinamiche che impediscono quella apertura, contaminazione e innovazione che sono necessarie per competere nel mondo di oggi.
 
A partire dalle suggestioni di Frederic Laloux e delle organizzazioni Teal (contenute in“reinventare le organizzazioni dello stesso autore) e di Humanocracy (di Gary Hamel e Michele Zanini), questo libro ripropone una rivisitazione dei concetti alla base delle “organizzazioni orizzontali”: modelli diversi e indubbiamente più contemporanei che sostituiscono il “comando e controllo” a favore di “responsabilità e fiducia”. 
 

“Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano.

Le fanno accadere.

Non dimenticano i propri sogni nel cassetto, li tengono stretti in pugno.

Si gettano nella mischia, assaporano il rischio, lasciano la propria impronta.

È un mondo in cui ogni nuovo giorno e ogni nuova sfida regalano l’opportunità di creare un futuro migliore.

Chi abita in quel luogo, non vive mai lo stesso giorno due volte, perché sa che è sempre possibile migliorare qualcosa.”

Sergio Marchionne

Ma soprattutto le persone che “fanno accadere le cose”, non fanno le cose più semplici: fanno quello che ritengono giusto..

Post (personale) sullo smartworking

Alcuni anni fa chiesi e ottenni di fare smartworking due giorni a settimana.

Questo mi permise di risparmiare ore di traffico, che cominciai a impiegare facendo altro: portavo mio figlio Lorenzo a scuola, gli preparavo la colazione, andavo a riprenderlo e pranzavamo in famiglia.

Con la pandemia ho avuto la possibilità di passare in smartworking da due a cinque giorni: ho cominciato a partecipare maggiormente alle mansioni di casa e ad essere più presente nella vita di Lorenzo aiutandolo, di tanto in tanto, a fare i compiti e cercando di trovare sempre quei 15 minuti per fare merenda insieme.

In quel momento storico, molti hanno iniziato a dibattere se fosse meglio andare in ufficio o stare a casa e per me la scelta è stata quella di continuare a preparare colazioni e pranzi, a risolvere qualche problema di matematica e a vedere assurdi video su youtube fra un meeting e l’altro.

Per questioni di efficienza, una volta ottimizzata la logistica del “traffico”, ho iniziato a farlo anche con tutto il resto: ho razionalizzato i meeting e aumentato il grado di delega verso colleghi che avevano voglia di imparare, col risultato che qualcuno è diventato più bravo di me.

Questo ha consentito loro di crescere e ha permesso a me di studiare, leggere, apprendere, lavorare per due organizzazioni, fare coaching e far nascere una realtà che si occupa di formazione.

Ma mi ha permesso anche di continuare a preparare colazioni e pranzi, di fare qualche compito, di guardare video e di partecipare con orgoglio alla lezione di musica a porte aperte che la scuola organizza a fine anno.

C’è chi è a favore dello smartworking e chi no… ma a chi mi chiede “tu che ne pensi?”, io rispondo sempre che fra andare in ufficio o restare a casa, la cosa migliore è trovare aziende o lavori che ti consentano di scegliere.

Perché cantare insieme a tuo figlio “il leone si è addormentato” nella sua ora di musica… non ha prezzo…