
Post (personale) sullo smartworking
Alcuni anni fa chiesi e ottenni di fare smartworking due giorni a settimana.
Questo mi permise di risparmiare ore di traffico, che cominciai a impiegare facendo altro: portavo mio figlio Lorenzo a scuola, gli preparavo la colazione, andavo a riprenderlo e pranzavamo in famiglia.
Con la pandemia ho avuto la possibilità di passare in smartworking da due a cinque giorni: ho cominciato a partecipare maggiormente alle mansioni di casa e ad essere più presente nella vita di Lorenzo aiutandolo, di tanto in tanto, a fare i compiti e cercando di trovare sempre quei 15 minuti per fare merenda insieme.
In quel momento storico, molti hanno iniziato a dibattere se fosse meglio andare in ufficio o stare a casa e per me la scelta è stata quella di continuare a preparare colazioni e pranzi, a risolvere qualche problema di matematica e a vedere assurdi video su youtube fra un meeting e l’altro.
Per questioni di efficienza, una volta ottimizzata la logistica del “traffico”, ho iniziato a farlo anche con tutto il resto: ho razionalizzato i meeting e aumentato il grado di delega verso colleghi che avevano voglia di imparare, col risultato che qualcuno è diventato più bravo di me.
Questo ha consentito loro di crescere e ha permesso a me di studiare, leggere, apprendere, lavorare per due organizzazioni, fare coaching e far nascere una realtà che si occupa di formazione.
Ma mi ha permesso anche di continuare a preparare colazioni e pranzi, di fare qualche compito, di guardare video e di partecipare con orgoglio alla lezione di musica a porte aperte che la scuola organizza a fine anno.
C’è chi è a favore dello smartworking e chi no… ma a chi mi chiede “tu che ne pensi?”, io rispondo sempre che fra andare in ufficio o restare a casa, la cosa migliore è trovare aziende o lavori che ti consentano di scegliere.
Perché cantare insieme a tuo figlio “il leone si è addormentato” nella sua ora di musica… non ha prezzo…