Pensieri lenti e veloci

di Daniel Kahneman pag. 666 1/05/2020

un mattoncino di quasi 700 pagine con qualche spunto interessante sul funzionamento del nostro cervello.

Pensieri Lenti e veloci divide il nostro cervello in una parte emotiva ed istintiva (sistema 1) ed in una parte più razionale e riflessiva (sistema 2).

Il sistema uno è quello della “prima impressione” mentre il sistema 2 regola gli step successivi (acquisizione dati, conoscenza): una sinergia che molto spesso ci consente di prendere decisioni ottime in poco tempo ma che in alcuni casi..

Perchè essere sempre disponibili a lavoro porta meno risultati che lavorare fra una pausa e l’altra

Il titolo è provocatorio ma sottolinea quanto la nostra “disponibilità” sia troppo spesso una merce di scambio “barattata” a bassissimo prezzo.

Il perchè la troppa disponibilità non paga, risiede non solo nello scarso apprezzamento di chi la riceve (più c’è abbondanza di una risorsa e meno gli si dà valore), ma anche negli effetti negativi che questa porta al nostro lavoro ed alla nostra quotidianità.

La naturale tendenza è quella di credere che la quantità di lavoro e la disponibilità siano direttamente proporzionali ad i nostri risultati lavorativi ed a quello che dovrebbe essere il nostro guadagno.

Lasciando da parte le considerazioni sul “pay back”, essere sempre disponibili porta a concentrarsi sull’obiettivo sbagliato: erroneamente pensiamo di garantire risultati consistenti solo perchè siamo disponibili a ricevere telefonate, mail e meeting h24 7 giorni su 7.

La realtà è che essere sempre disponibili ci fa perdere un’enorme quantità di tempo ed energie, distoglie la nostra attenzione dai veri obiettivi ed alza le aspettative degli interlocutori (che chiederanno “sempre di più”).

Ognuno ha le proprie caratteristiche ma difficilmente ho conosciuto colleghi che riuscivano ad essere reperibili h24 e contemporaneamente garantire risultati operativi di alto livello senza farsi “mangiare” dallo stress.

Per garantire un ottimo risultato è necessario avere un carico di lavoro in accordo alle proprie possibilità/capacità e saper trattenere il giusto spazio per “far funzionare bene la propria macchina”.

Questo vuol dire sapersi regolare e rendersi disponibili solo dopo aver dedicato il tempo e le risorse che ci sono necessari a mantenere alti livelli di performance (in base alle nostre caratteristiche ed a quanto e come abbiamo bisogno di “ricaricarci”).

Non sempre è facile dire di no ma farlo vuol dire avere rispetto per se stessi, dare valore al proprio tempo e definire i nostri spazi di influenza.

Limitare la propria disponibilità (in modo chirurgico) vuol dire anche aumentare i propri risultati e la percezione che gli altri hanno (in base ad una logica globalmente riconosciuta per cui più una risorsa è scarsa e più valore acquisisce).

Il tuo progetto

di W. Romano pag. 222 22/04/2020

Un libro di un collega (project manager) con un condensato di principi che vanno dallo sviluppo personale a quello professionale.

Una buona lettura per chi voglia realizzare un progetto da zero con metodo e rigore

Qualcosa che può salvarti (più di una volta) dall’irascibilità di alcuni executives

Capita nella carriera di dover partecipare a incontri “vìs a vìs” con interlocutori di 2/3 livelli sopra il tuo e dover rispondere direttamente su ciò che “hai fatto” o, molto più probabilmente, su ciò che “NON hai fatto”….

Sono situazioni difficili, in cui l’unica via di uscita è fare affidamento su se stessi e sulla propria capacità di far arrivare a chi sta di fronte la tua professionalità e quella del gruppo che rappresenti.

Gli errori più comuni sono sostanzialmente due: sopravvalutarsi (pensando di “raccontargliela”) o sottovalutarsi (pensando di non essere “all’altezza” di quel confronto)… incredibilmente siamo capaci di fare entrambe le cose contemporaneamente..

Quando quel “3 piani sopra di te”è particolarmente irritato, invece di partire in quarta a difenderti o argomentare sui presunti omissis, è fondamentale innanzitutto capire l’interlocutore ed il suo stato d’animo.

Un C-Level non è altro che una persona che vede le cose da una prospettiva più ampia: se ne fregherà pertanto del micro-dettaglio (sul quale ti senti preparatissimo) e sarà più concentrato su quanto avrai da proporre per far fronte al motivo per cui sei lì…. (SO WHAT?!?!)

Evita di dilungarti con la cronistoria di come tu ed il tuo gruppo siate riusciti a schivare 99 frecce: sta di fatto che una vi ha centrato in pieno ed ora sei nella posizione di dover spiegare come intendi sfilarla con il minimo spargimento di sangue.

Un buon manager riuscirà a capire immediatamente chi ha di fronte e non si aspetterà che un povero pigmeo che è tre livelli sotto il suo sia in grado di risollevare le sorti aziendali (in caso contrario, qualcuno lo ha messo nel posto sbagliato e su questo non puoi farci molto..).

Piuttosto, un buon C-Level, si aspetta che tu abbia analizzato il problema e che abbia individuato delle azioni correttive (meglio ancora se contemplano anche il suo contributo).

Indipendentemente da chi sia il responsabile, è assolutamente fondamentale distogliere il focus dall’errore : se è stato tuo, continuando a parlarne lo aumenti di intensità… se l’errore non è tuo, ne stai comunque rispondendo in prima persona e provare a spostare il problema su altri, ha l’effetto boomerang di farti sembrare incapace nella gestione di collaboratori e stakeholders.

A volte basta solo un po’ di buon senso per evitare di finire nel mirino, cosa che inevitabilmente succede se invece di concentrarti sulla risoluzione del problema ti concentri sul prendere “meno bastonate”: se il C-Level fossi tu, come vorresti che ti rispondessero i tuoi collaboratori?!

Anche se questo approccio può sembrare “contro-intuitivo” (perchè purtroppo siamo ancorati alla ossessiva ricerca del colpevole), questa costituisce alla lunga la soluzione col migliore pay-back.

Non c’è notte che non veda il giorno

di G. Nardone pag. 132 18/04/2020

“La paura è la più primitiva tra le nostre emozioni e quando raggiunge i suoi estremi è la più concreta e reale di tutte le sensazioni, capace di coinvolgere mente e corpo in una sequenza reattiva così rapida da a anticipare qualsiasi pensiero”..

Un manuale che analizza il mondo delle paure e che dà risposte sui meccanismi delle patologie da panico (e su come affrontarle)

Trading online

di Francesco Papa pag. 120 18/04/2020

In tempi di Covid e mercati volatili ho trovato interessante studiare un po’ di “basics” di finanza e trading.

Questo libro spiega in termini semplici e pratici tutte le opzioni di chi vuole fare trading da neofita.

Il businness del 21° secolo

di Robert T. Kiyosaki pag. 173 15/04/2020

Un’altro libro della collana “padre ricco, padre povero” di uno degli investitori più autorevoli al mondo.

In questo testo Kiyosaki spiega in dettaglio i retroscena del network marketing ed i perchè questo businness è uno dei più adatti per chi vuole passare dai quadranti di sinistra a quelli di destra (cfr best seller “i quadranti del cashflow” della stessa collana)

Quelli che “Non è il mio lavoro, non rientra nelle mie competenze”

… forse non sarà stato il suo lavoro spostare un tronco di albero per fare bene una striscia… ma dato l’aneddoto divertente è curioso domandarsi quale sia il retropensiero di chi fa il proprio lavoro con simili risultati..(foto analoghe con nutrie al posto di tronchi d’albero fanno parte di una croncaca italiana relativamente recente).

Chi ha fatto questa striscia stradale, probabilmente avrà dato per scontato la presenza di un supervisore a controllare che il tratto su cui verniciare fosse sgombro..

Probabilmente avrà dato anche per scontato che quell’ipotetico supervisore non avesse fatto il proprio lavoro, arrabbiandosi per il mancato controllo..

Oppure il fantomatico supervisore potrebbe aver fatto il suo compitino ed a sua volta aver avvisato un’altrettanto ipotetico “addetto a togliere gli oggetti dalla strada” (che nella mente di chi ha fatto la striscia, doveva sicuramente essere presente nell’organigramma aziendale).

Alternativamente potrebbe anche essere successo che “l’azienda” non avesse definito bene la lista degli “oggetti eventualmente da togliere” e che non abbia quindi dato a tutte le persone “tutte le informazioni” per operare.

In cima alla scala gerarchica delle presunte responsabilità generalmente c’è sempre “l’azienda” che ha le sue pecche ma che essenzialmente è sempre fatta da persone…

In particolare due tipi di persone: quelle per cui “non è compito mio” e quelle che semplicemente non si pongono il problema portando avanti il lavoro con cognizione degli impatti che questo ha nei confronti di clienti e colleghi.

La scelta della categoria a cui appartenere è come sempre una scelta personale (non dipendente nè dall'”azienda”, nè dal proprio ruolo o retribuzione).

Avere un approccio teso ad spostare le responsabilità verso gli altri è una cosa che si riflette a 360 gradi e che fa parte del proprio “corredo personale”: è un lose-lose agreement perchè impatta negativamente sia sull'”azienda” che sulla persona stessa (nonchè su tutti i suoi “stakeholders”).

Le caratteristiche dei “top performer”​ (e come fare a trattenerli)

In un mercato competitivo a livello globale, attrarre e trattenere talenti dovrebbe essere la priorità di ogni azienda.

 Nonostante le differenze tra i settori, i “dipendenti migliori” cercano le stesse 4 cose:

1) Uno scopo

Per molti, il lavoro rappresenta una punizione ma per un “dipendente modello” lavorare è un’opportunità per creare, servire e produrre qualcosa di straordinario (magari risolvendo un problema o soddisfacendo un’esigenza): il modo in cui un’azienda trasmette e trasferisce “lo scopo” (collegandolo al contributo del singolo) è uno dei fattori chiave.

2) L’autonomia

Steve Jobs diceva “Non ha senso assumere persone intelligenti e dire loro cosa fare; dobbiamo assumere persone intelligenti in modo che possano dirci cosa fare “…

L’assunzione dei migliori talenti ha il prezzo di dover lasciare loro un grado di autonomia tale da consentirgli di fare le cose “a modo loro” (alias ..se vuoi performance fuori dallo standard, i dipendenti devono poter uscire “fuori dallo standard”)

3) Un’ottima squadra:

Come ai grandi giocatori non piace giocare con giocatori medi (anche se sono le stelle delle loro squadre), allo stesso modo, i migliori dipendenti adorano essere sfidati non solo dai concorrenti ma anche dai loro colleghi (in un’ambiente dinamico in cui la competizione stimola le opportunità di apprendimento e crescita).

4) Qualcosa oltre lo stipendio

Inutile dire che anche per i “best employees” lo stipendio gioca ancora un ruolo vitale ma un aspetto altrettanto importante è il modo in cui un’azienda si prende cura dei propri dipendenti a 360 gradi: formazione, flessibilità, smartworking ed un un’efficace sistema di “flexible benefits” sono pre-requisiti per attrarre (e trattenere) un top performer

Quando una mascherina basterebbe..

È di qualche giorno fa la notizia che alcune farmacie stanno vendendo mascherine al ritmo di quasi 3000 unità al giorno.

Con un afflusso di circa 300 persone, questo significa una media di circa 10 mascherine ciascuno.. (nel caso peggiore in cui tutti le abbiano acquistate).

Più ragionevolmente solo una persona su 3 acquista mascherine il che significa comunque una ragguardevole media di 30 mascherine a persona/famiglia.

A cosa servono 30 mascherine quando il nucleo familiare medio è di 3/4 persone delle quali presumibilmente solo la metà devono uscire ogni tanto a turno per le commissioni?!?

Qui non si sta parlando di personale medico o “in prima linea”, nè di farmacisti o distributori di generi alimentari che ogni giorno sono obbligati a lasciare i propri familiari a casa per garantire servizi di prima necessità..

Qui stiamo parlando di famiglie che stanno a casa (o che dovrebbero starci) e che potenzialmente tolgono risorse a chi di mascherine ne ha veramente bisogno.

A cosa servono decine di mascherine nell’armadio se poi le persone che devono darti un servizio non ne dispongono a sufficienza?

Cosa succederebbe se la cassiera del supermercato non avesse abbastanza ricambio di mascherine e quindi fosse esposta maggiormente al contagio?!?

..succederebbe che anche chi ha la scorta di mascherine avrebbe più possibilità di entrare in un supermercato e contrarre il virus..

Le persone pensano di salvaguardarsi su un lungo termine che non esisterà se quello che serve non viene distribuito a tutti dove è necessario… pensano sia più sensato “smettere di ragionare” e continuare a perseguire il concetto di “mors tua vita mea”.

La mascherina non è un anticorpo e non dà superpoteri.. paradossalmente più la distribuzione è disomogenea e maggiore è la probabilità di contagio perché quello che non ce l’ha, può contagiare quello accanto e quello accanto ancora fino a che il virus non arriva anche a chi “ha fatto scorta”.

Tutto questo potrebbe essere evitato semplicemente con una maggiore responsabilità dei singoli, acquistando ciò che è sufficiente a garantire la propria incolumità e quella della collettività ed applicando la logica senza farsi prendere dal panico o dalla compulsività.

D’altronde un virus per sua natura non è selettivo.. non vince il più forte o quello che ha più mascherine… non vince nessuno individualmente: vince una specie se tutti i suoi membri si dimostrano sufficientemente più intelligenti di una pandemia che poi tanto intelligente non è..