Cosa ha a che fare la gratitudine con la capacità di gestire problemi complessi..

Cosa ha a che fare la gratitudine con la capacità di gestire problemi complessi..

Dovremmo essere grati ogni giorno per quello che abbiamo non per “buonismo” ma per logica: se sei avvezzo alla gratitudine ed hai a che fare con un gruppo di persone al lavoro (o anche solo un figlio ed una moglie/marito a casa), questo ti semplifica notevolmente le cose…

Essere grato per quello che hai vuol dire rendersi conto di alcune piccole grandi cose come avere un tetto sulla testa (ed una connessione stabile ad internet senza la quale non potresti leggere questo post) e delle persone che hanno piacere di ferequentarti (troppe o poche che siano ce n’è sempre qualcuna… valgono anche gli animali domestici..).

Essere grato vuol dire essere cosciente che anche se hai avuto una giornataccia, puoi sempre fare un pasto caldo e cenare con la tua famiglia, decidere se vedere o meno il TG (visto che le maggiori catastrofi sono ancora lontane da noi) e metterti sul divano a guardare una partita di calcio (con l’unico rischio di essere svegliato da un urlo del telecronista invece che dalle bombe come avviene in alcune parti del mondo).

Puoi permetterti di non temere gli tsunami ed i megaincendi in Amazzonia o uscire di casa con la consapevolezza che un rischio reale di “sicurezza” per la nostra vita non c’è (chi crede il contrario si informi su cosa succede in Messico con l’ecatombe provocata dal racket della droga).

Se anche hai avuto non solo una giornata storta ma addirittura l’intera settimana, puoi consolarti che non sei obbligato a lavorare 7 giorni su 7 (chi lo fa ha lo scopo di appagare il proprio ego e non di sfamare i propri figli)…. ed anche se il tuo stipendio non è alto, puoi sempre andare al supermercato e con 20€ comprare prosecco ed aperitivi per mettere qualche coppia di amici attorno ad un tavolo..

Cosa ha a che fare con il lavoro?!?

..se vivi con gratitudine per le piccole cose hai meno stress, ridimensioni notevolmente i problemi che hai (anche ammesso tu abbia un capo terribile puoi sempre decidere di cambiarlo) ed affronti le cose da una prospettiva diversa.

La realtà delle cose non cambia ma cambia la prospettiva con cui le guardi… e la capacità di cambiare prospettiva è in definitiva ciò che riesce a far cambiare la realtà stessa.

Chi è grato è meno ansioso e meno stressato (il che vuol dire che non lo è ma che semplicemente sa gestirlo meglio), riesce a preoccuparsi per gli altri e a migliorare non solo il livello qualitativo delle relazioni ma anche la produttività di tutti i propri colleghi (quanto siete più efficienti con qualcuno che vi supporta e vi sprona?!?)

A guardare a fondo ci sono poche, pochissime cose che possono mandare in crisi una persona dotata di gratitudine perchè una persona così, acquisisce una mentalità da “Shackelton” (cfr il libro “Endurance”): o sei disperso in Antardide e devi portare un equipaggio in salvo o affronti e risolvi qualsiasi altra cosa con il giusto approccio (trattandolo ogni problema di lavoro come tale e non facendone una questione di vita o di morte).

Non tutti sono adatti a gestire problemi complessi ma tutti siamo capaci di essere grati… si comincia da lì, sia che si voglia ambire ad una carriera brillante sia che si cerchi una vita più serena ( o entrambe).

Come guadagnare il 30% in più..


Anche se gli effetti possono essere gli stessi, parliamo di tempo anzichè di denaro (visto che guadagnare il 30% in più in termini “temporali” è sicuramente molto più immediato che ottenere un analogo aumento di stipendio..).

D’altronde ognuno di noi (nessuno escluso) ha una propria “tariffa oraria” per cui riuscire a fare lo stesso lavoro risparmiando il 30% di tempo vuol dire di fatto aumentare anche il proprio “costo orario” in accordo…

Gestire ottimamente il proprio tempo è ciò che serve per lavorare in maniera più efficiente e risparmiare ore di lavoro per dedicarsi ad altro (“scelta consigliata”) o per inserire ulteriore lavoro (se proprio non potete farne a meno..)

Mentre avere un aumento di stipendio del 30% è una cosa che richiede anni, ingenti sacrifici ed una buona dose di “fortuna”, guadagnare almeno il 30% del tempo è qualcosa di fattibile in modo relativamente semplice e veloce.

Per diventare “killers del tempo” sul lavoro ci sono alcuni consigli (oltre a quelli accademici che si trovano facilmente nei libri commerciali):

–         “Copiare” altri “killers” (troverete sicuramente qualcuno vicino al vostro ufficio che “ne fa più di voi”)

–         capire il proprio livello di “decadenza” (dopo quante ore “non ne abbiamo

più”) e fare pause solo quando la nostra efficienza cala drasticamente (quando anche le pause non bastano, meglio “fare cartella”..)

–         leggere le mail non più di 2 volte al giorno invece che usare l’iphone o il blackberry

compulsivamente (questa è “accademica” ma sempre

valida..)

–         prendersi cura delle persone ma non dei loro affari.. (ovvero interessarsi delle persone

con cui si lavora ma non dei pettegolezzi che li riguardano..)

–         Evitare contatti o relazioni che non portano a niente (nessuno escluso): può essere

professionale come non, ma ogni interazione deve avere un senso…

–         saper dire di no (anche al nostro capo): probabilmente qualche volta non ci faremo una bella figura ma “settare” i confini è fondamentale (ed ha vantaggi impareggiabili)

–         Least but not last: evitare come la peste attività che non sono in linea con le

nostre caratteristiche.. queste attività sono veri e propri “buchi neri di

energia” (e se avete fatto un buon networking durante le pause ed investito in

relazioni troverete sicuramente qualche collega o collaboratore a cui poterle

delegare…)

Migliorare la propria efficienza del 30% non è così difficile, serve a fare spazio per le cose importanti della vita e contribuisce a migliorare la propria immagine (che a dirla tutta, al di là del lavoro, è un pre-requisito per farsi aumentare lo stipendio in modo proporzionale..)

L’ABC di un project manager: l’importanza di ogni singolo elemento nella costruzione di un progetto.

In qualità di project manager (o di manager in senso più largo), è nostra responsabilità dare ai collaboratori  la visione di quello che stanno facendo relativamente al progetto che dobbiamo gestire.

Nella frenesia di far sì che tutti i singoli “mattoncini” vengano realizzati nel minor tempo possibile, magari allo scopo di attribuircene il merito, finiamo con il trascurare proprio quei piccoli elementi senza i quali l’intera costruzione non esisterebbe.

Chi fa parte di un team di lavoro ( che siano 4 o 5 persone come qualche centinaio), ogni mattina si alza per concorrere alla realizzazione del progetto finale: considerato che i singoli componenti sono spesso ripetitivi, costruire un mattone senza una chiara “visione” di dove andrà a finire può essere estremamente monotono e frustrante.

Non potendo cambiare la monotonia del lavoro (che presupporrebbe una rotazione, uno sconvolgimento della struttura aziendale e di processi che non sono sotto il nostro diretto controllo), quello che possiamo fare è essere di ispirazione e dare una visione di insieme.

Sottrarre i nostri colleghi alla loro “quotidianità” per renderli partecipi della pianificazione, dei disegni, delle strategie e di tutti gli altri aspetti che esulano dalle loro competenze, gli permette di alzare la testa, di vedere più in là del proprio naso e di farli sentire più “coinvolti” (e quindi più produttivi).

Saper spiegare le difficoltà di mettere insieme i pezzi e trasmettere quanto è importante il lavoro del singolo sia di per sè che in relazione agli altri, contribuisce inoltre sia al processo di “teambuilding” che a quello di feedback.

Ogni project manager (o manager), oltre a coordinare la costruzione di un progetto, dovrebbe parallelamente vedere le persone come mattoncini di una costruzione ben più grande e guidarle affinchè  possano essere in grado di imparare e crescere per concorrere ad opere o progetti sempre più sfidanti.

Oltre se stessi

di Giorgio Nardone e Stefano Bartoli pag. 109 16/02/2020

Che cosa accomuna figure geniali come Leonarso, Einstein, Mozart o Steve Jobs?

Fra realtà ed incoscenza, un percorso nella “genialità” e nei tratti caratteristici di personaggi che hanno fatto la storia in settori diversi.

Un libro che spiega come il talento debba essere coniugato da perseveranza e tenacia…. in un mix imprescindibile spiegato da “la scienza della performance”.

Gli autori indagano sulle caratteristiche che consentono ai “top” performer di raggiungere risultati e prestazioni notevoli attraverso lo sviluppo del talento ma anche di un percorso di miglioramento continuo che richiede resilienza, determinazione e flessibilità di pensiero.

Creatività ma anche inflessibile dedizione nell’eliminazione dei blocchi mentali che impediscono di esprimerla…

Il profeta


di Kahlil Gibran pag. 90 15/02/2020

Il profeta è la storia di Almustafa, saggio che dopo alcuni anni trascorsi in terra straniera è in procinto di lasciarla per tornare all’isola nativa.

Prima del suo ritorno lascia però agli abitanti di Orphalese un testamento spirituale: una serie di risposte ai grandi temi della vita e della morte, dell’amore, della fede, del bene e del male.

Pubblicato a New York nel 1923 questo saggio di stampo “Taoista” fornisce una interpretazione orientale ai più grossi temi in cui la cultura occidentale è tuttora in crisi.

Consigliato come libro all’interno de “il segreto dei Giganti” di Tim Ferris, è un libro di facile lettura nonostante la prosa un po’ datata (ma in linea con i tempi di pubblicazione).



il Minimalismo per vivere meglio

Rafaele Battaglia pag. 75 14/02/2020

Un libro minimalista per descrivere il minimalismo

nonostante la sintesi (75 pagine non troppo fitte), contiene spunti interessanti.

Nace come un libro per “mettere in ordne la casa” ma se al posto di “casa” si sostituisce “mente” ecco che si ha veramente un valore aggiunto.

Contiene molti principi del lean thinking e della filosofia “less is more” (che nel minimalismo trova la sua naturale espressione)

La differenza fra il talento e la mediocrità

Tutti hanno un talento ma la quasi totalità di noi è mediocre in quello che fa per la maggior parte del tempo.

Differentemente da quello che pensiamo, la ragione è da ricercare più nell’ambiente in cui ci troviamo che nelle catteristiche personali.

In 17 anni di lavoro ho conosciuto decine di colleghi fenomenali… campioni di apnea, cinture nere di tutti gli sport, iron men, artisti di strada, attori, scrittori, comici e fantasisti….. tutti talenti dal Lunedì al Venerdì (ma dalle 17 in poi…).

Negli ambienti di lavoro il tasso di mediocrità  si attesta a livelli altissimi principalmente perchè la maggior parte di noi non fa un lavoro che è nelle proprie “corde”: impostiamo il nostro percorso professionale scegliendo scuola ed università in età prematura, magari sotto i consigli di parenti sopravvissuti alla guerra che pensano ad un “ingegnere” o un “dottore” come a supereroi in grado di provvedere al sostentamento di sè e delle future 7 generazioni..

In questo contesto, anche ammesso che dopo aver selezionato chirurgicamente una facoltà riusciamo a mantenere la stessa idea senza cambiarla in itinere (il che presuppone tra l’altro che il nostro percorso di studi si riveli come effettivamente lo avevamo immaginato), subentra il problema della discrepanza fra ciò che impariamo e ciò che ci viene richiesto dal mondo del lavoro..

Ci troviamo così “decontestualizzati”, frastornati da una realtà sconosciuta e con possibilità molto limitate per cambiare, sperimentare e trovare il lavoro che meglio rispecchia le nostre caratteristiche.

La cosa non migliora quando abbiamo a che fare con dei superiori che a loro volta hanno un tasso di mediocrità assimilabile al nostro perchè valutati su parametri quali “lavoro duro” ed “accondiscendeza” (entrambi fattori apprezzabilissimi ma tanto facilmente reperibili quanto lontani dal concetto di “talento”).

La morale della favola è che se sei mediocre in quello che fai (e la maggior parte di noi lo è), o cambi quello che fai o fai del tuo talento un mestiere..

Differentemente da quello che pensiamo, la ragione è da ricercare più nell’ambiente in cui ci troviamo che nelle catteristiche personali.

In 17 anni di lavoro ho conosciuto decine di colleghi fenomenali… campioni di apnea, cinture nere di tutti gli sport, iron man, artisti di strada, attori, scrittori, comici e fantasisti….. tutti talenti dal Lunedì al Venerdì (dalle 17 in poi…).

Negli ambienti di lavoro il tasso di mediocrità  si attesta a livelli altissimi principalmente perchè la maggior parte di noi non fa un lavoro che è nelle proprie “corde”: impostiamo il nostro percorso professionale scegliendo scuola ed università in età prematura, magari sotto i consigli di un parente sopravvissuto alla guerra che pensa ancora che l’ingegnere o il dottore siano supereroi che con la semplice laurea sono in grado di provvedere al sostentamento di sè e delle future 7 generazioni..

In questo contesto, anche ammesso che dopo aver selezionato chirurgicamente una facoltà riusciamo a mantenere la stessa idea senza cambiarla in itinere (il che presuppone tra l’altro che il nostro percorso di studi si riveli come effettivamente lo avevamo immaginato), subentra il problema della discrepanza fra ciò che impariamo e ciò che ci viene richiesto dal mondo del lavoro..

Ci troviamo così “decontestualizzati”, frastornati da una realtà sconosciuta e con possibilità molto limitate per cambiare, sperimentare e trovare il lavoro che meglio rispecchia le nostre caratteristiche.

La cosa non migliora quando abbiamo a che fare con i nostri superiori che a loro volta hanno un tasso di mediocrità assimilabile al nostro perchè valutati su parametri quali “lavoro duro” ed “accondiscendeza” (entrambi fattori apprezzabilissimi ma abbastanza lontani dal concetto di “talento”).

La morale della favola è che se sei mediocre in quello che fai (e la maggior parte di noi lo è), o cambi quello che fai o fai del tuo talento un mestiere..

Scrivere

di Anne Lamott pag. 239 12/02/2020

Un libro brillante scritto da una scrittrice figlia di scrittori.

Viaggio nella scrittura e nella sua genesi, negli stimoli che generano curiosità e creatività (entrambi ritenuti a ragione pre-requisiti ritenuti fondamentali per intraprendere qualsiasi processo editoriale).

Si parte dall’osservazione, dall’importanza del prendere appunti passando per tutto quello che innesca lo spirito creativo.

Non mancano i riferimenti autobiografici con utili e sincere analisi dei processi di fallimento che chiunque si avvi verso questo tipo di mestiere/passione deve suo malgrado sopportare.

Libro interessante più per chi aspira a scrivere romanzi e narrativa che racconti o elaborati più “leggeri”

I segreti dei giganti

Tim Ferris pag. 673 9/02/2020

Un libro stellare, pieno di aneddoti e di storie di “backstage” dei personaggi più illuminati del mondo.

Dopo 4 ore alla stessimana dello stesso autore (che fornisce numerosi spunti sul come disintossicarsi dal lavoro intensivo), “i segreti dei giganti” approfondisce i temi della realizzazione personale attraverso le principali aree di interesse (salute, benessere econoico e saggezza).

Diviso in tre sezioni, tutti i temi sono trattati attraverso la lente di ingrandimento dei protagonisti intervistati dall’autore: maghi degli scacchi, divi holliwoodiani, militari pluridecorati, super-atleti, grandi manager, guru della meditazione , star della medicina ed assi della finanza.

Un kit di sopravvivenza che indipendentemente dall’estrazione dei protagonisti, delinea caratteristiche comuni per il raggiungimento della propria realizzazione professionale e personale.

Leader e finti leader: la differenza fra “givers” e “takers”

Ogni giorno abbiamo a che fare con decine di persone: che siano amici, parenti, familiari, colleghi o superiori, ogni giorno della nostra vita dobbiamo confrontarci con una moltitudine di personalità da cui “prendiamo” ed a cui “diamo” in modo diverso.

Quello che diamo e quello che prendiamo definisce quanto siamo “giver” o “taker” ed il bilancio può ovviamente variare a seconda del periodo che attraversiamo o degli interlocutori a cui ci rivolgiamo.

Ci sono però persone che sono tendenzialmente “giver” e persone che sono prevalentemente “taker”: indipendentemente da dove decidiamo di posizionarci verso gli altri, è fondamentale saper riconoscere chi è giver o taker (in famiglia come nell’ambiente di lavoro).

Gli estremi sono abbastanza riconoscibili ma mentre è più facile scovare un “taker”, un pò più difficile è trovare un “giver” puro (ci sono molti più “finti givers” che “finti takers”)

Nell’ambiente di lavoro, specialmente in posizioni di leadership, molti manager si posizionano come “giver” quando in realtà lo sono per circostanza (o lo sono perchè qualcuno gli dice che devono mostrarsi come tali).

I “givers” puri si riconoscono da alcune caratteristiche:

–         Donano incondizionatamente: fanno inclusione pura e non di facciata, non guardano al ruolo ma alla persona, dedicano tempo a te come lo dedicherebbero ad un amministratore delegato (indipendentemente dai propri impegni)

–         Sono leaders naturali: sono sempre disponibili, sanno dire di no ma trovano sempre il modo di dedicare del tempo per fare quello per cui sono naturalmente portati (la porta del loro ufficio è sempre aperta e se non è aperta si può bussare senza averne timore alcuno).

–         Applicano l’ascolto attivo (quando parli si concentrano su quello che dici e non hai mai la sensazione che stiano pensando ad altro: il loro linguaggio del corpo è coerente con loro messaggi)

Un giver puro è talmente impegnato a dare che per lui qualsiasi occasione di poterlo fare è un arricchimento personale e non una perdita di tempo.

Un giver è un’ottimista che ritiene di aver avuto così tanto dalla vita (indipendentemente da quello che ha avuto) da dover rendere necessariamente qualcosa indietro.

Se pensi ad un leader come ad un giver domandati se sei a disagio o meno a chiamarlo in ogni momento della giornata: se anche solo osservandolo la risposta è affermativa, probabilmente non è un giver vero.