Le lezioni che ho imparato dal follower #1..
Il follower numero uno è colui che a un certo punto della carriera mi ha spinto a rivedere quello che pensavo di aver capito sulla leadership (provate a imporre qualcosa a un bambino di 10 anni e intuirete dove potete mettere le “hard skills”).
È colui per cui lo smartworking è diventato una necessità al pari dello stipendio (perché mi ha fatto scoprire la gioia di sostituire la pausa caffè con “la merenda”… Inserendo l’out of office dalle 16 alle 16:30)
È colui a cui ho subordinato il mio ego e per cui ho rivisto l’ordine della piramide di Maslow (portando “la merenda” dalla base alla cima e ottimizzando il tempo per guadagnarmela ogni giorno).
È colui che mi ha insegnato il significato di “prendersi cura” degli altri, che siano dipendenti, collaboratori, colleghi o executive (perché, per quanto ovvio, non ci è mai abbastanza chiaro che “se ti prendi cura di loro, loro si prenderanno cura di te”).
È colui che mi ha aiutato a capire come fregarsene delle diversità, come imparare ad accettare se stessi, come fare leva sui punti di forza e direzionare in modo intelligente e “sostenibile” le proprie energie.
È colui che mi spinge a coltivare speranza nelle nuove generazioni, perché loro hanno la risposta a domande che noi dobbiamo ancora farci (laddove spesso pensiamo valga il viceversa).
È colui che mi ha insegnato come essere un ottimo padre porta direttamente a essere un ottimo professionista (e come sia una baggianata pensare che una cosa debba escludere l’altra).
Se ci teniamo stretti i nostri “follower numero 1”, contribuiremo a costruire una società fatta di leader eccezionali (molto più che arrivando a dirigere una multinazionale o a fare “l’executive coach”).