Sforzarsi incredibilmente o “imparare a disimparare”?!?

Ci sono due modi per ottimizzare la propria “performance” o massimizzare i risultati in una disciplina..

Spesso si pensa che l’unico modo possibile sia quello che necessita l’applicazione di uno sforzo straordinario (di acquisizione di competenze, di approfondimento e di maniacale controllo di ogni dettaglio).

In realtà alcuni studiosi ritengono che molte delle caratteristiche che servono per rendere al meglio siano già nel nostro corredo genetico e che, piuttosto che sforzarsi di imparare razionalmente, sarebbe molto più efficace liberare un potenziale già disponibile.

E’ chiaro che per raggiungere veramente dei risultati “eccellenti” sino imprescindibili impegno e fatica… ma alcune ricerche sostengono che la maggior parte di noi impieghi l’80% delle energie in maniera inefficace.

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Molti autori e ricercatori sono accaniti sostenitori della presenza di due “sé”: uno razionale (che segue le regole e che cerca di imparare dai “manuali” per perfezionare una disciplina) ed uno istintivo (che impara dalle immagini e che sembra essere contro intuitivamente molto più saggio del primo).

Il primo sé è quello che tende al giudizio: giudica noi e le nostre azioni in continuazione, cercando di cambiarle e di dargli una direzione che ritiene razionalmente giusta (ma spesso condizionata dall’esterno).

Il secondo sé è quello del talento: un sé che sembra avere già un corredo di informazioni sufficienti che aspetta solo di essere liberato (o quantomeno “non ostacolato”.)

La parte interessante di questa teoria è che se riuscissimo a mitigare gli effetti del primo, potremmo riuscire a far esprimere al meglio il secondo, evitandoci sforzi immani ed altrettante frustrazioni.

Un esempio lampante sta nell’osservazione del comportamento dei bambini, che imparano istintivamente a camminare senza che gli si spieghi come farlo (o senza che abbiano manuali su cui andare a vedere come si alza la gamba posteriore, come si solleva il ginocchio o su come fare leva sul per sollevarsi..).

Per imparare a camminare non leggono libri, non giudicano i propri tentativi ma si limitano ad osservare quello che fanno gli altri… ed inconsapevoli di come si acquisisce il controllo dei muscoli a livello neurologico, semplicemente ad un certo punto iniziano a camminare (o ad apprendere velocemente un’altra lingua o ancora a fare cose che ad un adulto richiederebbero sforzi enormi).

E’ come se nei bambini il sé istintivo prevalesse sul sé razionale, accelerando l’apprendimento e la massima espressione delle potenzialità intrinseche dell’essere umano.

Ormai siamo talmente abituati a non sorprenderci più di questo fatto, che abbiamo perso interesse nell’investigare come mai crescendo diminuiscono le nostre capacità di apprendimento istintivo… pensando che sia una cosa “normale” e non concentrandosi sulla ragione per cui questo “rallentamento” avviene.

A partire da una certa età, sembra che il sé razionale cominci a giudicare quello che facciamo cercando di correggerlo anziché osservarlo asetticamente: l’atto del giudizio spinge al pensiero… ed il pensiero porta ad un tentativo di correzione che però sembra essere più un freno che un vantaggio.

E’ come se la razionalità rappresentasse una sorta di distrazione, interrompendo un flusso di pensiero ed azione che da solo porterebbe ad un risultato migliore..

Quello che succede, secondo gli studiosi, è che la mente razionale comincia a giudicare un evento (ad esempio una prestazione mediocre), per poi identificarsi definitivamente con lo stesso e generare infine una profezia auto avverante.

Un effetto collaterale di questa evidenza è riscontrabile nelle nostre attività quotidiane.

Chi pratica sport lo ha sperimentato sicuramente molte volte: ci sono “giornate di grazia” e giornate in cui la palla o le gambe non girano… ma mentre le nostre capacità sono teoricamente abbastanza invariate da un giorno ad un altro, sembra che le nostre prestazioni differiscano notevolmente.

Alcuni sostengono che l’origine sia sempre attribuibile al “sistema di giudizio” del sé razionale.. che a volte prevale su tutto il resto condizionando la prestazione.

Una possibile azione di mitigazione per questo fenomeno è quella di provare a “disimparare” e a lasciare maggiore spazio al “sé istintivo”, lavorando affinché il sé razionale non tenda a giudicare ed a reprimere quella parte che naturalmente è portata all’apprendimento veloce (e che si sopisce, ma non scompare, con l’avanzare dell’età).

Per gli scettici di queste teorie, un altro esempio che va nella direzione delle tesi proposte è quello che potrebbe definirsi il “successo dei non esperti”.

Il mondo professionale è pieno di aziende fondate da giovanissimi: individui che senza le regole imposte dall’esterno, utilizzando molto più il sé istintivo del sé razionale, hanno re-inventato interi business e creato nicchie che poi si sono espanse globalmente fino a cambiare intere culture (ricordiamoci che oggi la nostra vita è notevolmente condizionata da dinamiche innescate da esperimenti irrazionali come quelli di Apple, Microsoft, Google e Facebook: tutte realtà nate in garage da persone che di computer, tecnologia e sociologia sapevano ben poco).

In tutti i casi sopra citati, il punto di partenza è stato l’intuito.. disimparando regole e schemi ritenuti validi e che sono poi stati superati e ricostruiti in modi che non si pensavano immaginabili.

Che si creda o no alla presenza di un sé razionale e di un sé istintivo, rimane comunque incontrovertibile il fatto che siamo costantemente limitati dalle nostre convinzioni e dal nostro modo di vedere le cose: viviamo in un mondo di esperienze pregresse e di giudizi che spesso frenano ogni azione volta al cambiamento (cambiamento che avviene troppo spesso “solo quando non abbiamo altre alternative”).

Accettare teorie che possono sembrare “irrazionali”, è difficile e faticoso perché presuppone l’allontanarsi da una mentalità sviluppata in anni di studio e di esperienza condizionata da schemi consolidati…. viceversa non accettarle impone però un assorbimento di energie enorme anche per ottenere risultati ben inferiori all’eccellenza.

Coltivare il sé istintivo e mitigare gli effetti di quello razionale è un esercizio che si può fare (per approfondimenti sul “come”, ci sono testi interessanti come “Inner game” di Tim Gallwey) e che può portare alla realizzazione di quello che facciamo senza troppi sforzi e con molte meno frustrazioni.

Tutto ovviamente a patto di non voler raggiungere “l’eccellenza”… che richiede il massimo sforzo sia del sè istintivo che di quello razionale…

Per approfondimenti:

Inner game di Tim Gallwey

Pensieri lenti e pensieri veloci di David Kahneman

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