L’importanza “psicologica” dello smartworking…

“Il primo giorno ho capito perché nelle banche di investimento o nella consulenza si guadagna molto bene: perché si lavora più a lungo e si è sottoposti a controlli più di quanto credessi sopportabile.

Il lavoro era intellettualmente stimolante, ben retribuito e mi faceva sentire importante. Ma in ogni istante ero schiavo delle richieste del mio capo e tanto è bastato a farne una delle esperienze più orribili della mia vita.

Mi è dispiaciuto perché quel lavoro mi piaceva molto ed ero motivato a lavorare sodo. Ma fare una cosa che amiamo con ritmi che non possiamo controllare somiglia molto a fare una cosa che odiamo.

A ogni essere umano dotato di buon senso e un minimo di amor proprio piace sentire di avere il controllo sulla propria vita: quando cerchiamo di obbligare una persona a fare qualcosa, la facciamo sentire impotente perché avrà la sensazione di non aver scelto in autonomia anche se quello che fa gli piace”.

(Tratto da “la psicologia dei soldi” di Morgan Housel)

Quanto descritto è un meccanismo che in psicologia si chiama “reattanza” e che regola da sempre il comportamento umano sia dentro che fuori dai contesti lavorativi.

Se accettiamo la verità di questo ragionamento, capiamo come mai le persone che hanno accesso libero allo smartworking si sentono meno vincolate, tornano ad amare quello che fanno e sono naturalmente più produttive.

Smartworking e reattanza psicologica sono direttamente collegati perchè il “lavoro agile” fatto senza vincoli, è uno strumento per rendere le persone libere di raggiungere risultati senza costrizioni: un aspetto fondamentale in un momento storico in cui c’è necessità di ritrovare un “nuovo senso del lavoro” (mantenendo le aziende competitive e facendo recuperare alle persone il benessere e il valore del proprio “tempo”).

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