Se volete un ottimo team non fate matrici di potenziale

Sono cresciuto in epoca e ambienti dove venivi misurato solo in base al potenziale: ti affibbiavano un’etichetta e stabilivano se eri ad alto o a basso potenziale.

I manager seguivano matrici e non distinguevano qual era il grado di impegno che una persona potesse/volesse mettere nel lavoro.

Adesso ci stiamo accorgendo che non siamo tutti uguali: ci sono persone che amano stare in ufficio per fare carriera, altre che vogliono starci per lavorare coscienziosamente senza grosse ambizioni e altre ancora che preferirebbero stare al mare.

Trascurando il terzo caso, la distinzione in base alle ambizioni è fondamentale perché consente di mettere le persone giuste al posto giusto, assecondare le caratteristiche di ognuno ed ottenere conseguentemente maggiori risultati.

I team migliori sono un mix di “superstar” e di “rockstar”: le prime sono persone di talento che vogliono scalare montagne e organigrammi, mentre le seconde hanno il talento ma stanno bene dove stanno.

Saper distinguere le due macro categorie (possibilmente tenendo conto anche di tutte le altre), spinge da un tradizionale impianto di “talent management” a un sistema di “gestione della crescita” in cui si prendono in considerazione anche i differenti desideri delle persone.

Questo crea un contesto in cui la creatività dei singoli può esprimersi al massimo, il benessere e l’efficienza aumentano e le persone collaborano meglio fra loro (senza doversi difendere o perdersi in “battaglie” inutili).

Se volete un ottimo team, non fate matrici di potenziale ma chiedete alle singole persone cosa vogliono dal lavoro e cercate di darglielo mettendole nel posto in cui vogliono stare: otterrete il meglio da ognuno di loro (con meno sforzi).

Per approfondimenti: “sincerità radicale” di Kim Scott edito da Franco Angeli

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