4 domande che le aziende dovrebbero farsi prima di richiedere una consulenza..

Perché le grandi organizzazioni hanno bisogno di ricorrere alla consulenza esterna?

Perché anche in presenza di decine di talenti, ciclicamente si ingaggiano aziende esterne per imparare competenze che dovrebbero essere disponibili anche internamente?

Quando è che una consulenza esterna è efficace e quando invece può arrecare più danni che benefici?

Chi nella sua carriera lavorativa ha affrontato diversi processi di cambiamento si sarà fatto almeno una volta queste domande.

E sebbene non sia sempre facile trovare delle risposte, spesso queste dipendono da tre fattori:

–         Quanto è forte il motivo che spinge all’ingaggio di consulenti

–         Quanto è trasparente il management

–         Quanto è efficace la comunicazione interna

La consulenza di per sé può accelerare processi di cambiamento… ma talvolta la mancanza di un “perché” forte e di una corretta comunicazione possono vanificarne l’efficacia..

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Quello della consulenza è un mondo strano, pervaso da aneddoti che giocano su una verità parziale: si paga un consulente per dirci quello che sappiamo già…

Provando ad analizzare a fondo il fenomeno, si scopre che la malcelata verità di alcune barzellette sui consulenti ha un fondo parziale…

Ricorrere ad una consulenza di per sé non è sbagliato: il problema sta all’origine del motivo per cui si richiede (oltre che nel modo in cui si gestisce..).

Il punto focale delle consulenze è che spesso vengono scelte per ragioni sbagliate ovvero:

–         Incapacità di individuare nuove soluzioni

–         Incapacità (o mancanza di volontà) di ricercare risorse interne che individuino nuove soluzioni

–         Cambi organizzativi e/o di cordata

Generalmente, l’unico motivo per cui si dovrebbe davvero chiedere una consulenza è un cambiamento RADICALE del proprio mercato ovvero  qualcosa che richieda una profonda revisione del proprio modo di operare alla luce di nuove tecnologie e nuovi metodi.

La consulenza è pertanto utile solo in casi in cui il contributo esterno porti elementi estranei al proprio business: soluzioni che richiedano connessioni multidisciplinari che diversamente un occhio troppo specialistico (eccessivamente focalizzato sul proprio settore e su metodi consolidati di operare), non riuscirebbe ad individuare.

In un mondo in cui l’informazione è sempre più disponibile ed in cui le grandi aziende hanno talenti generalisti in grado di collegare discipline diverse e di utilizzare il proprio “pensiero laterale”, la consulenza è sempre meno necessaria e prima di attingervi (spendendo budget multimilionari), bisognerebbe sempre capire perché è richiesta, se se ne può fare a meno e quali sono gli impatti sulla popolazione aziendale (che dovrebbe essere “preparata” sia per accoglierla positivamente che per raccoglierne il testimone una volta finita l’attività..).

In due parole, prima di decidere di andare verso un processo che potenzialmente può creare più danni che benefici, le organizzazioni dovrebbero “partire dal perché”.. e farsi almeno 4 domande:

Prima domanda: perché è necessaria?

Se la consulenza serve perché il management è incapace di elaborare nuove soluzioni (o soluzioni più adeguate a gestire i cambiamenti), allora questa porterà solo a “posticipare un problema” ed a tappare i buchi di uno scafo che è il momento di sostituire.

Se la consulenza serve perché non si è capaci (o non si ha la volontà) di individuare/promuovere risorse interne con potenziali capacità di affrontare/gestire/guidare il cambiamento allora si torna al punto precedente..

Se la consulenza serve a supporto di un nuovo management per implementare sistemi innovativi o se i cambiamenti sono tali da richiedere competenze trasversali specialistiche (o nuove tecnologie) allora si può passare alla seconda domanda…

Seconda domanda: serve davvero? Ho alternative?

Ovvero: la consulenza ha un valore intrinseco (diretto o indiretto)? Davvero non posso attingere ad una task force interna?

A questa domanda bisognerebbe saper rispondere senza esitazione, sapendo motivare per filo e per segno il perché non posso sfruttare le risorse interne.

In aziende grandi ci sono decine di persone con interessi e competenze fra le più variegate: spesso se ne trascura il potenziale, e non ci si chiede abbastanza approfonditamente se le risorse già a disposizione non possano essere in grado di individuare soluzioni adeguate ad un cambio di rotta.

Trascurare possibilità interne senza averle vagliate (e senza avergli spiegato perché non sono adeguate per sviluppare strategie appannaggio di consulenti esterni), può avere conseguenze negative sul lungo termine… perchè quando i consulenti se ne vanno rimarremo con risorse interne inevitabilmente demotivate..

Se non è questo il caso allora si può andare oltre..

Terza domanda: i consulenti verranno accolti nel modo giusto?

Nel caso non si possa proprio fare a meno di mettersi in casa professionalità esterne, bisognerebbe considerare un aspetto fondamentale: per quanto necessario, un consulente è comunque “un estraneo in casa”.. e prima di farlo entrare bisognerebbe verificare che tutti gli occupanti siano quantomeno resi edotti sul motivo che sta dietro l’invito..

Non domandarsi se i propri dipendenti hanno capito il motivo reale per cui si chiede una consulenza equivale a mettere un corpo estraneo all’interno di un organismo in equilibrio: con il risultato di un alto rischio di “rigetto”.

Le necessità aziendali vanno spiegate, motivate e sostanziate, in modo che le persone capiscano perché c’è la necessità di un vaccino per curare un male che il corpo umano non è in grado di “gestire” autonomamente..

Quarta domanda: Come si interfacciano i consulenti con la realtà esistente?? Hanno un piano di uscita?

Prima di fare entrare un ospite in casa bisogna sapere come si comporterà in casa nostra e soprattutto a che ora andrà via…

Invitereste qualcuno a fare le pulizie di cui non conoscete/riconoscete la professionalità?

E soprattutto, anche ammesso l’ospite abbia davvero la soluzione per le pulizie di casa, accettereste di tenerlo senza sapere quando se ne andrà?

Ovviamente l’esempio è provocatorio ma qualsiasi intervento esterno perturba un equilibrio ed è fondamentale avere un piano di uscita..

I padroni di casa (che in questo caso non sono solo i manager che optano per la consulenza ma anche tutti gli impiegati), devono sapere esattamente cosa gli ospiti vengono a fare, che strumenti utilizzeranno, cosa insegneranno e come (e quando se ne andranno via).

Il piano di uscita è fondamentale perché si porta dietro anche il modo con cui si rilascia “l’eredità” ovvero il valore aggiunto che l’attività di consulenza porta all’interno dell’organizzazione.. (se non è stata pianificata una continuità di pensiero e di azione, ogni risultato è destinato ad avere una durata limitata nel tempo).

In conclusione:

Le consulenze dovrebbero essere limitate a circostanze in cui si verifichino o un cambio repentino del mercato di riferimento o un’eccessiva obsolescenza nel proprio modo di operare: in entrambi casi non devono esserci alternative (ovvero la genesi dovrebbe essere ascrivibile alla necessità di un’iniezione di nuove tecnologie o capitali umani che abbiano esperienze diversificate in altri campi).

In questi casi la consulenza è in grado di essere utile, buttando in campo forze fresche e trovando nuove soluzioni per il business (o nuove metodologie di lavoro finalizzate ad una ripartenza efficace).

La consulenza è in molti casi un aiuto fondamentale per le aziende… ma visto l’elevato impatto che ha su ambiente e dipendenti, vi si dovrebbe attingere solo in casi eccezionali e solo una volta che il contributo che si intende apportare è stato motivato, circostanziato, spiegato e fatto metabolizzare/assorbire dalla forza lavoro.

Non è un’attività a costo zero (né per l’impatto economico che richiede, né per i cambiamenti e le perturbazioni che introduce): è per questo che la comunicazione assume un ruolo di importanza analoga alla scelta dei consulenti (che devono comunque entrare ed uscire in punta di piedi, fornendo elementi per riorganizzare il business ma mai impadronendosi del ruolo di guida).

Il ruolo di un consulente dovrebbe essere quello di un accompagnatore temporaneo: qualcuno che facilita dei processi inserendo elementi non invasivi e facendo in modo che questi vengano assimilati e riconosciuti, divenendo parte integrante di una nuova struttura in grado di portarli avanti stabilmente).

Le 4 domande e le relative risposte dovrebbero essere viste e riviste… per poi essere pubblicate trasparentemente sul “gazzettino aziendale” o essere parte integrante di un piano di comunicazione ad hoc per la gestione di un cambiamento.

E quando il capofamiglia (il CEO o un C-Level) decide di far entrare un estraneo in casa… dovrebbe darne comunicazione, condividere i “perché” e verificare che tutti i membri siano allineati prima che suoni il campanello…

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