“Come possiamo farlo meglio?”


È l’unica domanda possibile per cambiare davvero e migliorare costantemente.

Spesso siamo abituati ad ambienti eccessivamente autocelebrativi e a una comunicazione che tende a enfatizzare i successi minimizzando errori e fallimenti.

Quando si vedono annunci del tipo “I’m thrilled to announce” (“sono entusiasta di annunciare”) o si definiscono i propri risultati come “tremendous” (straordinario), “huge” (enorme) o “great” (grande), migliaia di neuroni si spengono e questo è il primo passo per il disingaggio delle persone che ci stanno intorno.

Riconoscere cosa facciamo bene è fondamentale, ma dovrebbe essere sempre un punto di partenza e mai di arrivo: una “scintilla” per andare oltre e non un motivo per sedersi su allori che appassiscono sempre più velocemente.

Viceversa, mettersi a un tavolo e chiedersi “come possiamo farlo meglio?”, accende la discussione, attiva l’intelligenza collettiva e fa nascere scambi in cui ognuno mette le sue risorse migliori.

L’ho visto accadere in molte aziende, lo facciamo continuamente in NeNet ed è un piacere enorme “tornare a casa” e continuare a farlo coi colleghi di Baker Hughes.

Le organizzazioni che ridefiniscono i propri valori per adeguarli al cambiamento, alla multigenerazionalità, alla contaminazione e alla diversità, mettono le basi per crescere.

Quelle che aprono una discussione per trovare un allineamento continuo fra il proprio modus operandi e quei valori, sono le uniche che si garantiscono la possibilità di prosperare in un mondo “VUCA” (volatile, incerto, complesso e ambiguo).

In sintesi, chiedersi “Come possiamo farlo meglio?” è l’unico modo per innovare, coinvolgere le persone e stare al passo coi tempi.

Qualcosa che se vogliamo evolvere personalmente e professionalmente dovremmo provare a fare tutti: ogni giorno e in ogni contesto.

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