I peggiori scivoloni li ho fatti quando ho “reagito” invece di “osservare”…

Gli errori che hanno compromesso la mia carriera (e quelli che non l’hanno fatto ma che hanno peggiorato notevolmente la mia qualità della vita), girano tutti attorno a questo aforisma.

Quando reagiamo a un evento o a qualcosa che succede, siamo in preda alle emozioni e al nostro istinto più primitivo: ci facciamo dominare da sentimenti collegati a ego, paura o rabbia rischiando di prendere decisioni sbagliate.

“Osservare” anziché “reagire” è fondamentale per darsi il tempo di ritrovare la bussola e quella calma necessaria a riflettere sugli eventi, su cosa significano per noi e sul tipo di emozioni che scatenano.

“Osservare” e non “reagire” vuol dire concentrarsi su ciò che succede, essere presenti a se stessi e volgere l’attenzione a quello che proviamo fisicamente e mentalmente (senza giudizio ma con spirito esplorativo).

L’osservazione serve a capire il nostro sistema valoriale e i perché delle nostre reazioni: soprattutto serve a capire quali filtri mettiamo nell’interpretazione di ciò che accade, portandoci a prendere contromisure e decisioni più efficaci.

Siamo animali istintivi e la “reazione” è il primo impulso da domare per diventare osservatori e migliorarsi ogni giorno: un lavoro difficilissimo che richiede impegno ma che restituisce una migliore comprensione di noi stessi, di ciò che ci circonda e di cosa possiamo fare per aumentare il nostro benessere e l’impatto che generiamo sugli altri.

Nel lavoro, in famiglia, al bar o in coda nel traffico, “osservare” anziché “reagire” è fondamentale per rivendicare i nostri poteri e diventare comunicatori migliori, persone più centrate e professionisti più efficienti.

P.S.: osservare anziché reagire è il grande superpotere di alcuni introversi (per approfondire, suggerisco la lettura di “quite: il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare” di Susan Cain)

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