
Nella solitudine spesso si nasconde l’ispirazione
Qualche sabato fa, dopo un anno di macerazione ho ripulito la compostiera e preparato il giardino per la stagione primaverile: un lavoro manuale che mi ha costretto a stare una giornata fuori da qualsiasi interazione con lo smartphone o con altre persone.
È stato un momento di beata solitudine, di contatto con la terra calda e non con i freddi tasti di una tastiera o di uno schermo.
La solitudine è qualcosa che non ci è familiare perché siamo abituati a cercare costantemente relazioni e attenzione.
I social e la dimensione digitale contribuiscono ad aumentare quel rumore che toglie spazio all’introspezione e alla propria componente creativa.
Le relazioni col mondo esterno e con le persone sono fondamentali ma spesso è nella solitudine che si ritrova la pace e talvolta anche il proprio talento.
“Il dialogo arricchisce la comprensione, ma la solitudine è la scuola del genio” diceva Edward Gibbon.
È stato così per molti grandi: da Descartes, Newton, Locke, Pascal, Kant, Leibniz, Schopenhauer, Nietzsche.. e può valere per molti di noi molto meno “dotati”.
Quando capiamo che la solitudine può essere fonte di ispirazione e allontanamento dalla pressione sociale, si comincia a non averne paura e a cercarla periodicamente per ritrovare la concentrazione, riscoprire le proprie passioni e maturare intuizioni utili per il nostro lavoro.
È controintuitivo ma spesso funziona.