La scienza delle organizzazioni positive (#32/2021)

di Veruska Gennari e Daniela Di Ciaccio pag 240

E’ possibile costruire un’organizzazione positiva? Se sì, come?

La “scienza” della positività non è un’utopia per pochi ma ha solide basi nelle neuroscienze ed in come il nostro cervello si è sviluppato (ed è ancora in fase di sviluppo).

Un’organizzazione non è altro che una dimensione sociale della vita dell’uomo e come tale può essere resa “positiva” se riescono a sfruttare le enormi potenzialità del genere umano, partendo dai modelli comportamentali ed indirizzandoli per agire collettivamente con logica e lungimiranza.

Per accedere alle nostre molteplici risorse è necessario fare leva su:

– La natura della nostra specie (siamo animali “sociali” e non “individuali”)

– La possibilità di accedere alle “soft skills” ed alla dimensione creativa consentita dalla neocorteccia (la parte più “avanzata” del nostro cervello nonché quella che ci ha consentito di diventare la specie dominante sul pianeta terra)

– Lo sviluppo della tecnologia (che mette a disposizione un “secondo cervello” molto sviluppato sulle “hard skills”)

Grazie alle nuove scoperte tecnologiche in tutti i campi ed alla rinnovata consapevolezza di ciò che ci differenzia dalle macchine (e da modelli del secolo scorso), abbiamo l’occasione di ribaltare il paradigma che vede le organizzazioni come luoghi gerarchici di sofferenza e supplizio (lo smartworking, per chi ha avuto possibilità di accedervi, ne è un esempio).

Completando la dimensione tecnico manageriale (finora unica protagonista indiscussa), con la dimensione umana (unico elemento differenziante in un mondo digitale sempre più fatto da robot ed “assistenti artificiali”), è possibile costruire qualcosa di diverso e più evoluto rendendo le organizzazioni “positive”.

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