Perché la leadership non è più un optional..

Rango o leadership?!?

Uno dei più evidenti paradossi sulla leadership nasce dal fatto che ci aspettiamo che essa sia tanto più forte quanto più ci si avvicina ai livelli più alti dell’organizzazione (ovvero tanto più aumenta il “rango” di una persona e la sua posizione nell’organigramma).  

Ma la multidimensionalità della leadership (ovvero il fatto che essa non implichi solo alcune specifiche “skills”), si scontra con la monodirezionalità che è sempre stata fondamentale per il raggiungimento dei ruoli apicali…  

Per ragioni storiche ben precise, l’ottenimento di una posizione di rango è sempre stato il premio per una corsa individuale di 100 metri… mentre la leadership comporta la capacità di riuscire a correre in squadra in una “staffetta” lunga come una maratona (in mezzo ad ostacoli non prevedibili).  

Con i tempi che cambiano,  diventare un ottimo centometrista potrebbe non essere più sufficiente per aggiungere posizioni “di rango”..

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La storia industriale degli ultimi 200 anni ci insegna che i ruoli di vertice di un’azienda sono quasi sempre stati assegnati come “premi” di una corsa singola di 100 metri in cui le regole erano quelle di correre in avanti più velocemente possibile (su una pista rettilinea in cui qualsiasi cosa che non fosse il traguardo si configurava come un ostacolo).

 E’ così che, “corsie preferenziali” a parte, abbiamo assimilato il concetto che per essere un manager di alto livello fosse necessario iper-specializzarsi in una disciplina unica e cimentarsi in una “gara” con altri “competitor” per accaparrarsi la prima posizione spesso a discapito di tutto il resto (per rendere l’idea, molti ricorderanno la pubblicità del format “the Apprentice”, con la celebre “corsa a spintoni” per arrivare per primi nell’ufficio del “capo”…).

 La leadership è invece un concetto correlabile più ad una corsa ibrida che implica la capacità di correre in “staffetta” e di guardarsi intorno, in un percorso ad ostacoli lungo come una maratona…

 Mentre per acquisire un rango è sempre stato necessario essere iper-efficiente (almeno più di ogni altro “avversario”), per acquisire uno status di “leader” è necessario aggiungere alla “velocità” anche altre caratteristiche come visione, autogestione, self-control, equilibrio, capacità di lavorare con gli altri e necessità di guardare non solo in avanti ma anche dietro e di fianco.

Laddove il raggiungimento di un titolo richiedeva pertanto quasi esclusivamente una singola capacità molto sviluppata (senza troppa attenzione a contesto e contorno), la leadership prevede un allargamento ed una espansione continua delle proprie competenze hard e soft che introduce una “multidimensionalità” ed una complessità di ordine superiore.

 Il “rango” per come è stato raggiunto finora e la “leadership” per come comunemente intesa, viaggiano pertanto su binari profondamente diversi: il primo prevede linearità mentre la seconda prevede complessità….

Due righe (brevi) di storia

Perché l’ottenimento di una posizione di vertice viene da un concetto di “linearità” e non è conseguenza di una visione più estesa che contempli anche capacità di leadership?

La spiegazione sta (in parte) nella storia industriale dello scorso secolo: dal Taylorismo in avanti, le aziende hanno impostato la propria marcia in maniera univoca ed in accordo ad un mondo generalmente “stabile”.

Tutti i mercati (anche dopo l’inizio della globalizzazione) erano basati sulla capacità di produrre in base a fasi e schemi piuttosto standard e ripetitivi: si poteva andare da A a B univocamente, cosa che ha portato a dare un senso agli obiettivi esclusivamente ottimizzando le tempistiche per arrivarci.

 L’industria ha pertanto settato procedure e metodologie per creare prodotti identificando il “cammino minimo” e spezzettando le varie fasi in modo deterministico (così per i prodotti e così per le carriere).

Il mondo stesso era meno complesso: per ottenere il successo bisognava lavorare sodo ed avere un impiego ben remunerato… cosa che era possibile studiando, formandosi, facendo esperienza e scalando verticalmente le organizzazioni.

Il XX secolo è stato caratterizzato da un evoluzione socio-economica lineare: da un certo punto in poi quasi tutti nei paesi industrializzati le persone potevano studiare, studiando potevano laurearsi e laureandosi potevano ottenere un lavoro ben pagato che durasse tutta una vita fino alla pensione… così da ricominciare il ciclo con la generazione successiva..

Le carriere e le posizioni apicali potevano pertanto essere raggiunte con lavoro duro, velocità e sgomitate… il che oltre a spiegare alcuni dei criteri utilizzati per assegnare ruoli di rilievo, spiega anche come mai la leadership (intesa come sviluppo di molte altre capacità e di una visione che contempli anche una sorta di “responsabilità collettiva”), non sia stata ritenuta in passato una condizione fondamentale per la scelta dei vertici aziendali.

 In due parole si può riassumere che la leadership è sempre stata una caratteristica “desiderabile” ma non necessariamente esclusiva: un utensile utile da avere nella propria cassetta degli attrezzi ma non “mandatorio” per scalare posizioni nell’organigramma..

 Cosa è cambiato 

Appurata la ragione che sta dietro la mancata esigenza di inserire la leadership come condizione necessaria e sufficiente per arrivare a posizioni “di rango”, ci si potrebbe chiedere come mai questa caratteristica è così tanto richiesta, ricercata e “voluta” nei dibattiti sempre più frequenti che avvengono nel “nuovo contesto”.

 La ragione risiede ancora nella “multidimensionalità” e nel passaggio da un mondo “lineare” ad un mondo più complesso (che ricalca esattamente la necessità di passare dalla linearità del rango per come comunemente inteso alla multi direzionalità propria della leadership).

 Il mondo professionale di adesso non è più lineare: se studi e ti impegni non è detto che trovi un lavoro… se trovi un lavoro non è detto che riesci a mantenerlo e se anche riesci a mantenerlo non è detto che l’azienda per cui lavori stia aperta per un tempo sufficientemente lungo per farti arrivare alla pensione..

 L’assunzione “studio ergo lavoro” non è più valida: tutto è molto più instabile e soggetto a fattori esterni su cui non abbiamo nessun controllo.

 I lavori non sono più fissi, eventi come pandemie per quanto rari possono stravolgere tutto da un momento all’altro e l’evoluzione esponenziale della tecnologia può avere lo stesso effetto (quello di spazzare da un momento all’altro professioni che esistevano da decenni).

 Le organizzazioni sono peraltro entità sempre più volatili e complesse che richiedono sinergie fuori dal comune e competenze variegate per affrontare sfide in un mercato tanto liquido quanto incerto.

 In questi scenari quello che viene ricercato dal mercato cambia radicalmente: serve sicurezza, fiducia e solidarietà… in altre parole serve una leadership che crei condivisione, visione e capacità di vedere oltre i propri confini di ruolo e di mercato (per compensare fluttuazioni permanenti e sopperire a mancanze cognitive che una persona non può più coprire singolarmente).

 E’ necessario avere leader che tengano tutta la filiera unita e siano in grado di avere una prospettiva a 360 gradi, con attenzione non solo agli stakeholders interni ma alla società nella sua interezza.

 Ma soprattutto sono necessarie una pluralità di competenze che per quanto un singolo possa correre velocemente, solo le capacità di leadership possono colmare..In Conclusione

 In un mondo multidimensionale è necessario guidare le organizzazioni in modo multidirezionale (motivo per cui la vecchia selezione del “rango” non rappresenta più un modello adeguato).

 Chi è arrivato al rango con un percorso lineare o si adegua o rischia di non essere più allineato ad un mercato che richiede pensiero laterale e capacità diversificate proprie della leadership (e che spingerà i singoli ad estendere il proprio grado di collaborazione a quelli che fino a ieri erano considerati “competitor”).

 Se prima la mono-corsia poteva portare a raggiungere “posizioni di rango”, in un mercato iper-competitivo essa stessa si configura più come un vicolo senza via di uscita: le aziende non possono più permettersi di essere composte da microaziende fatte da funzioni che non si parlano l’una con l’altra (o che guardano esclusivamente alle proprie metriche senza tenere conto della “big picture”).

 Il mercato richiede competenze diversificate che devono attingere non solo a dipartimenti diversi ma a competenze provenienti da settori diversi o da competitor (lo ha capito bene Nike che col progetto “GreenX” ha messo a disposizione i propri brevetti sui materiali per applicazioni in settori diversi).

 La corsa non può essere più individuale su una linea retta con poche variabili: il nuovo percorso fatto di curve, ostacoli ed eventi imprevedibili richiede capacità di leadership… sia per stare nel mercato che per raggiungere nuovi livelli “di rango”…

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