Come raggiungere l’eccellenza: imparare a disimparare

Ci sono due modi per raggiungere “l’eccellenza”..

La maggior parte di noi la identifica come un qualcosa che necessita l’applicazione di uno sforzo straordinario (di acquisizione, approfondimento e maniacale padronanza di ogni dettaglio di quello che si vuole padroneggiare con estrema maestria)

In realtà alcune teorie sostengono che molte delle caratteristiche che servono per “l’eccellenza”, sono già nel nostro corredo genetico e che in realtà, piuttosto che sforzarsi in un processo di apprendimento razionale continuo, sarebbe molto più prolifico liberarsi di ciò che ci impedisce di esprimere un potenziale già pronto per essere utilizzato.

E’ chiaro che per raggiungere veramente dei risultati ci vogliono impegno e fatica… ma la teoria che sta alla base è che la maggior parte di noi impieghi l’80% di queste energie in maniera inefficace.

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Sforzarsi incredibilmente o “imparare a disimparare”

Nel famoso saggio “Inner game” di Tim Gallwey, l’autore spiega che ci sono due sé: un sé razionale (che segue regole, manuale e che cerca di imparare perfezionando la propria disciplina) ed un sé più istintivo (che impara dalle immagini e che sembra essere contro intuitivamente molto più saggio del primo).

Il primo sé è quello che tende al giudizio: giudica noi e le nostre azioni in continuazione, cercando di cambiarle e di dargli quella che ritiene razionalmente essere la direzione che va verso il perfezionamento.

Il secondo sé è quello del talento: un sé che sembra avere già un corredo di informazioni sufficienti che aspetta solo di essere liberato (o quantomeno “non ostacolato”.)

La teoria interessante è che se riuscissimo a mitigare gli effetti del primo, potremmo riuscire a far esprimere al meglio il secondo, evitandoci sforzi immani ed altrettante frustrazioni.

La massima espressione del risultato di questa teoria sta nell’osservazione del comportamento dei bambini… che imparano istintivamente a camminare senza che gli si spieghi come farlo (o senza che abbiano manuali su cui andare a vedere come si alza la gamba posteriore, come si solleva il ginocchio o su come fare leva sul perno per sollevarsi..).

E’ come se nei bambini il sé istintivo prevalesse sul sé razionale, accelerando l’apprendimento e la massima espressione delle potenzialità intrinseche dell’essere umano.

Il sé razionale giudica quello che facciamo, cerca di correggerlo anziché osservarlo asetticamente.. giudicando spinge al pensiero ed il pensiero porta ad un tentativo di correzione che però sembra essere più un freno che un vantaggio.

E’ come se la nostra mente giudicasse prima un evento, poi un gruppo di eventi … identificandosi infine con gli eventi stessi e generando profezie auto avveranti (come quelle secondo le quali non siamo in grado di fare qualcosa).

Il fatto che i bambini non si facciano fregare da questo “bias” sta in un motivo molto semplice: non hanno esperienza…

Per imparare a camminare non leggono libri, non giudicano i propri tentativi ma si limitano ad osservare quello che fanno gli altri… ed inconsapevoli di come si acquisisce il controllo dei muscoli a livello neurologico… semplicemente ad un certo punto iniziano a camminare (o ad apprendere velocemente un’altra lingua o ancora a fare cose che a noi adulti richiederebbero sforzi enormi).

Ormai siamo talmente abituati a  non sorprenderci più di questo fatto, che abbiamo perso interesse nell’investigare come mai crescendo diminuiscono le nostre capacità di apprendimento istintivo… pensando che sia una cosa “normale” e non concentrandosi sulla ragione per cui questo “rallentamento” avviene.

I bambini scrivono continuamente su pagine bianche: non hanno esperienza e se questo da un lato è un problema, dall’altro è un enorme vantaggio perché la totale assenza di riferimenti pregressi non crea modelli di riferimento e lascia spazio quindi all’espressione più libera ed efficace.

Sì, perché mentre da un lato l’esperienza aiuta nell’apprendimento razionale, dall’altro è quella che crea dei solchi nella nostra mente dai quali poi è difficile discostarsi.

Ad esempio se proviamo a suonare la batteria e non ci riusciamo alla prima, tendiamo a puntare il dito sul fatto che non teniamo il polso sufficientemente flessibile, che la nostra gamba si è mossa in maniera scoordinata rispetto al braccio o che gli arti non riescono a “pensare” indipendentemente l’uno dall’altro: tutta questa serie di giudizi portano a tentativi di correzione che spesso si rilevano inefficaci… a tal punto che nonostante ci sforziamo di correggere tutti i singoli passaggi, il risultato alla fine è quello che ci convinciamo di non saper fare le cose e che appendiamo le bacchette al muro… (arrabbiandoci perché non riusciamo a fare quello che vediamo fare su youtube a bambini di appena tre anni..)

La teoria di Galwey è quella di agire sul sé istintivo… lavorare affinchè il sé razionale non tenda a giudicare ed a reprimere quella parte che naturalmente è portata all’apprendimento veloce (e che si sopisce, ma non scompare, quando diventiamo adulti).

Un altro esempio illustre che va in direzione di questa teoria è quella che potrebbe definirsi il “successo dei non esperti”.

Il mondo professionale è pieno di aziende fondate da ragazzini…. Individui che senza le regole imposte dall’esterno hanno re-inventato interi business e soprattutto creato nicchie che poi si sono espanse globalmente fino a cambiare intere culture (ricordiamoci che oggi la nostra vita è fondamentalmente creata da dinamiche innescate da esperimenti irrazionali come quelli di Apple, Microsoft, Google e Facebook: tutte realtà create in miseri garage da persone che di computer, tecnologia e sociologia sapevano ben poco).

Ovviamente tutte queste teorie sono tanto belle quanto difficilmente applicabili: viviamo in un mondo di giudizi (mentre state leggendo state già giudicando questo articolo nella sua forma e nei contenuti): allontanarsi da una mentalità di questo tipo è motlo difficile…. Ma è altrettanto difficile e faticoso cercare di raggiungere l’eccellenza mediante piccolissimi passe della mente razionale..

Per approfondimenti:

“Inner Game” (o gioco interiore) di Tim Gallwey

Pensieri lenti e pensieri veloci di Daniel Kahneman

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