Creare l’ambiente giusto: 4 fattori che possono far traformare il futuro remoto in futuro prossimo

Perchè ci sono ambienti in cui le idee si sviluppano più velocemente e l’evoluzione sembra procedere a passi da gigante?

Perchè la maggior parte delle start up di successo si trova in una zona ben specifica della California del Nord ed un quarto delle specie sottomarine conosciute si addensano in una superficie pari ad un millesimo della superifice terrestre?

Si tratta in entrambi i casi di “piattaforme” ovvero di “cluster evolutivi” dove c’è una vera e propria accelerazione del processo evolutivo/innovativo: ambienti dove c’è un’alta concentrazione di idee ed un alto grado di contaminazione che portano alla realizzazione di condizioni favorevoli per l’accelerazione di sviluppo ed evoluzione.

Ma come si creano e come si alimentano le piattaforme?!?

Quali sono i fattori che possono accelerare l’evoluzione umana portando in 10 anni una quantità di innovazioni che in un ambiente standard si svilupperebbero in un tempo enormemente più lungo?

Possiamo ricreare ambienti di lavoro innovativi ispirandoci a modelli in cui il futuro sembra essere già una realtà?

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Creare l’ambiente giusto: 4 fattori che possono far  traformare il futuro remoto in futuro prossimo

Ormai quasi due secoli fa, Darwin scoperse che il “reef” corallino conteneva la maggior parte delle specie sottomarine conosciute, in uno spazio ristretto ad una frazione dell’intera superficie sommersa della terra.

Questo ambiente consentiva il proliferare di un’ecosistema insolito, particolarmente favorevole non solo alla coesistenza di specie diverse ma anche allo sviluppo di nuove specie (motivo per cui dopo migliaia di anni il “reef” si è giustamente guadagnato l’appellativo di “paradosso di Darwin”).

Che si tratti del reef corallino (dove in una zona ridotta si sviluppano la maggior parte delle specie viventi), degli aggregati urbani ai tempi della prima “civilizzazione” o della moderna Silicon Valley (dove in una zona ridotta di superficie si concentrano le aziende più ricche del pianeta), ci sono alcune caratteristiche fondamentali che accomunano quelle che si definiscono “piattaforme”.

–         Diversità/contaminazione:

Le piattaforme sono ambienti in cui l’ecosistema è in equilibrio proprio perchè c’è diversità…

La diversità porta contaminazione e la contaminazione accelera l’evoluzione: in un’ecosistema come quello naturale della barriera corallina questi due fattori portano gli organismi a “mescolarsi” fra di loro, dando vita a nuove “combinazioni” che meglio si adattano all’ambiente circostante.

Nella Silicon valley, contributi diversificati portano una pluralità di conoscenze messe a fattore comune: chi fa il software per l’intelligenza artificiale serve aziende per l’automazione come compagnie che producono auto con guida assistita: sperimentano in campi diversi e sfruttano i feedback per migliorare il proprio prodotto in tutti i settori.

Sia nel mondo animale che in quello umano la diversità apporta valore perchè aumenta la possibilità di aprire nuove porte a quello che viene chiamato “l’adiacente possibile” (ovvero quello che può succedere tramite la sperimentazione di una piccola variazione rispetto alla realtà attuale) e più sperimentazioni ci sono e più sono le probabilità di aprire nuove frontiere.

L’adiacente possibile è ciò che caratterizza l’innovazione: l’evoluzione difficilmente nasce da qualcuno che si alza la mattina ed inventa qualcosa “da zero”… l’evoluzione è un qualcosa che nasce da minuscole variazioni dell’esistente che soddisfano nuove esigenze e che vengono ulteriormente sviluppate (così, provando e riprovando, l’uomo è passato dal carro trainato da buoi alla macchina elettrica..).

–         Stratificazione:

Da migliaia di anni, piccoli polipini mangiano e defecano in continuazione costruendo la barriera corallina: una struttura porosa che ha la doppia funzione di proteggere dalla straordiaria forza degli oceani e di creare il substrato su cui si startificano altre forme di vita.

Nella Silicon valley succede la stessa cosa: si sviluppano team di softwaristi, avvocati, commercialisti e bancari: tutto ciò che serve ad una start up e che viene “alimentato” dal suo proliferare… aziende che creano il substrato dove vivono e proliferano altre aziende.

La stratificazione funziona perchè ognuno sviluppa un proprio “core businness” che però è anche funzionale all’accelerazione dell’ecosistema.

Ogni organismo è funzionale all’altro.. come nella barriera corallina i pesci spazzino si nutrono dei rifiuti organici di altre specie assicurando però al contempo la pulizia dai batteri.

–         Condivisione:

Le conoscenze in un settore vengono messe a disposizione di altri che possono costruire e dare un contributo sullo stesso strato oppure usare quell’informazione per rielabolarla ed utilizzarla per altri scopi.

Non c’è gelosia perchè di base c’è la consapevolezza che sono più i vantaggi degli svantaggi: in natura come nel mondo professionale è un modello che funziona…

Nike ha capito molto bene questo concetto quando nel 2010 ha creato un nuovo spazio di condivisione chiamato “GreenXchange” sul quale ha messo a disposizione oltre 400 materiali e tecnologie coperte da brevetto per renderle disponibili all’utilizzo in mercati concorrenti: in pratica ha messo a disposizione le proprie informazioni su materiali innovativi ed ecosostenibili, dando la possibilità di utilizzarli in campi fuori dal proprio businness.

Invece di “tenerle nel cassetto”, Nike ha dato accesso ai propri brevetti a players posizionati in mercati diversi, attingendo ad altre professionalità e ricavandone informazioni di ritorno utili per ulteriori sviluppi (nel proprio campo).

–          Linguaggio comune

Per costruire un’intero ecosistema del progresso è necessario che si parli un linguaggio comune.

Nel mondo del software questo è abbastanza comune e prende il nome di API (Application programming interface): un’API è una sorta di lingua franca che le applicazioni possono utilizzare per comunicare fra loro ed essere interdipendenti… un insieme di regole e definizioni standardizzate che consentono ai programmatori di progettare e riprogettare nuovi strumenti sulla base di un’altra piattaforma o di intrecciare informazioni da piattaforme multiple.

E’ un po’ quello che è successo a Linux o quello che succede quando si parla di “applicazioni” sviluppate dagli utenti: in questo modo l’evoluzione non è appannaggio di un singolo sviluppatore ma viene affidato alla rete… attingendo non solo a quelle poche decine di persone di un reparto di ricerca e sviluppo ma anche di eventuali “smanettoni” dall’altra parte del mondo.

In un ambiente lavorativo normale “linguaggio comune” significa far parlare tutti la stessa lingua… non in senso semantico ma in senso “laterale”: far sì che l’obiettivo sia comune e si lavori con chiarezza e trasparenza nella stessa direzione.. (eliminando metriche parziali, feudi interaziendali o sottostrutture che operano “a compartimenti stagni”).

CONCLUSIONI: Per ricreare un ambiente innovativo e che sia in grado di sopravvivere ad un mercato in costante fluttuazione, riferirsi a ciò che funziona in mondi apparentemente molto diversi può avere senso.

Cominciando ad implementare i fattori a comune delle “piattaforme” e favorendo una contaminazione che stimoli la condivisione di idee e di feedback utili, il processo di innovazione (o di “rinnovamento”) può sicuramente subire un’accelerazione determinante per “stare al passo coi tempi”.

Per approfondimenti: “Dove nascono le grandi idee” di Steven Johnson

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