Perchè le aziende spingono sul marketing per sopravvivere (l’esempio del “green diesel”)

Perchè le aziende spingono sul marketing per sopravvivere (l’esempio del “green diesel”)

Diesel e green sono un ossimoro difficilmente sostenibile.

Tante aziende che lavorano nel settore petrolifero, all’affacciarsi persistente di concetti quali “ecosostenibilità” e “green economy”, hanno pensato bene di avviare corpose e costose campagne di marketing per la riconversione della propria immagine in accordo alle nuove logiche di mercato.

Peccato che un prodotto intrinsecamente inquinante sia alquanto difficilmente vendibile come ecologico, nonostante gli investimenti in pubblicità (se anche lo colorassimo di verde il petrolio rimarrebbe sempre tale).

Il problema principale è causato dalle logiche di mercato, che richiedono tempi rapidissimi per rispondere alle nuove esigenze e che costringono le grandi aziende a fronteggiare un calo repentino di domanda rispetto ad una situazione che solo un decennio fa garantiva una crescita a doppia cifra.

E’ così che se da un lato c’è un mercato ormai palesemente orientato alla sostenibilità, dall’altro c’è tutta la difficoltà di riconvertire intere produzioni (come per le case automobilistiche è difficile passare da produzioni di motori a combustione interna a motori elettrici, anche per le aziende petrolifere è altrettanto complicato convertire il petrolio all’eolico e via dicendo).

Una riconversione richiede un lunghissimo periodo in cui le aziende devono “sopravvivere” con relativi pochi incassi provenienti da un mercato in ribasso (domanda in diminuzione per i vecchi prodotti) e con la contemporanea necessità di investire massicciamente in ricerca e sviluppo di nuove soluzioni.

E’ evidentemente un’impresa titanica tanto più difficile quanto più le aziende sono partite in ritardo con il proprio adeguamento (adagiandosi nella comfort zone degli alti profitti che il petrolio garantiva negli anni d’oro).

E’ così che per queste aziende poco lungimiranti, la salita appare più difficile e costringe ad azioni discutibili di ristrutturazione e re-branding per dare un colpo di coda e cercare di vendere i vecchi prodotti spacciandoli per sostenibili.

Il problema è che la proiezione della propria immagine aziendale verso che quello che si delinea come il futuro (ovvero la green economy), non si cambia col colore del logo o con le etichette, ma con processi decisionali alla base e “riforme” strutturali che ridefiniscano i modelli di businness ed i prodotti dell’azienda. 

C’è troppa fretta di rendere green ciò che intrinsecamente non lo è ed appare evidente come il marketing non possa riuscire a sopperire in pochi mesi quello che richiede anni di sviluppo per una completa riconversione.

Le aziende che per “core businness” non fanno prodotti green, dovrebbero in parallelo sia lavorare sul rendere più sostenibili i vecchi prodotti (ma trattandoli come tali), sia investire in ricerca e sviluppo sui nuovi, con un rapporto incrementale progressivamente sempre più orientato ai nuovi mercati.

Solo così si può costruire una credibilità che è sì costosa ma anche vincente nel lungo periodo.

Difficile per le logiche di mercato, ma necessario per un futuro realmente “sostenibile”.

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