Sgombrare la strada e togliere la pressione dovrebbe essere il nostro scopo principale.



Il talento non si comanda e non si “imbriglia”: deve trovare naturalmente la propria strada per potersi esprimere al meglio e lasciare un segno positivo in chi lo possiede (mettendolo in condizioni di viverselo bene e di goderne appieno).

Di quelli che fanno sport, pochissimi arrivano a livelli mondiali: nonostante questo, moltissimi genitori riversano nei figli aspettative che ne condizionano la vita per sempre.

Anche nei pochissimi casi di successo, il prezzo da pagare è altissimo; pensate ad esempio alla storia di Agassi (leggete “open”): numero uno al mondo che fu costretto a odiare il tennis da un padre che lo voleva campione a tutti i costi.

E pensate a tutti quei figli che a causa delle pressioni dei propri genitori, della scuola e degli ambienti di lavoro, vivono costantemente con la sensazione di non essere mai abbastanza, di non aver fatto tutto ciò che era necessario per “eccellere”.

Non stiamo forse mettendo troppa pressione o alzando troppo le aspettative invece di sgombrare la strada dagli ostacoli e dare ai figli o alle persone gli strumenti giusti per diventare quello che sono? È proprio fondamentale “eccellere” o dettare le regole per farlo?

Sono domande che mi faccio da padre, da professionista ma anche da persona che di pressioni indotte o auto-indotte ne ha subite molte.

Perché quando devi rispettare un modello, o dimostrare di essere all’altezza di quello che hai o di quello che ti viene dato, le possibilità sono due: o vivi nella frustrazione di non meritarteli, o inizi a metterti pressione da solo per raggiungere quello che gli altri si aspettano da te (vivendo male a prescindere dal successo che ottieni).

“È un mondo difficile” che dovremmo provare a rendere più leggero: non solo per fare emergere il talento dove c’è, ma soprattutto per costruire una società più sana.

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