Una delle sfide più grandi del XXI secolo sarà evitare che le persone diventino “macchine da lavoro” (rischiando il “burn out”).
La produzione di massa ci ha spinto prima a inventare le macchine, poi ad usarle e infine a lavorare come loro nel tentativo di fare sempre di più…
Ma è proprio in questo terzo passaggio che ci siamo dimenticati che macchine e tecnologia non devono essere modelli da imitare ma strumenti al servizio dell’intelletto per semplificare, accelerare e consentire al nostro cervello di pensare ancora un passo in avanti.
Noi non siamo macchine: non siamo in grado di lavorare h24 e ragionevolmente non dovrebbe neanche esserci richiesto (perché le “macchine”, se usate bene, sono infinitamente più brave di noi).
Quando lavoriamo come macchine o ci spingono a farlo, perdiamo non solo la nostra “umanità” ma anche il nostro “valore”.
Usare intelligentemente le macchine o i computer può far fare passi avanti all’evoluzione ma impostare un mondo del lavoro in cui l’uomo assomiglia a un robot, è l’inizio di una regressione evolutiva che porta a esaurire le nostre risorse migliori.
L’uomo e il suo lavoro non dovrebbero essere trattati né come numeri, né come ingranaggi: funzionava nel XX secolo quando avevamo necessità di creare prodotti per tutti.. ma adesso che non ne abbiamo più bisogno dovremmo rivolgere lo sguardo altrove, ritrovare il senso di quello che facciamo e cambiare il nostro “modo di fare le cose”.
Una delle sfide più difficili del XXI secolo sarà creare aziende che:
– non costringano le persone a diventare macchine;
– usino più intelligentemente la tecnologia;
– allentino la pressione sociale affinché le persone non compromettano la propria salute mentale, il benessere e persino la propria produttività.
Nel prossimo futuro dovremmo ingegnarci a fare lavorare uomini e macchine in sinergia: perché quando uno dei due prova a sostituire l’altro, il sistema è destinato a crollare..