Chi o cosa definisce un talento?

Mi ha sempre colpito la storia dell’esercito iraniano che dal 2010 cominciò a reclutare un gruppo di ragazzi autistici per fare un lavoro che nessun altro era in grado di fare: confrontare mappe con migliaia di punti e sfruttare la straordinaria capacità visiva di alcuni di loro per individuare il più impercettibile cambiamento nelle immagini.

Questi ragazzi, altrove considerati un problema da gestire, divennero un’opportunità per l’intelligence iraniana passando da persone con disabilità a risorse con “abilità speciali” (e facenti parte di un’unità “speciale” per la sicurezza nazionale).

Il talento (ovvero “l’abilità innata di fare qualcosa), non è altro che una spiccata caratteristica personale valorizzata da un ambiente che la supporta e la incentiva.

Un parallelo interessante è quello che riguarda le professionalità in azienda: nelle organizzazioni ci sono un sacco di persone che vengono viste più come un problema che come un’opportunità che ancora non si è in grado di valorizzare nel modo giusto.

Normalmente è più facile etichettare qualcuno piuttosto che fare un’analisi profonda di quelle che sono le sue caratteristiche… peccato che la “mancata analisi”, si traduce in enormi costi di turn around e inefficienza (i talenti escono dalle aziende e quelli che hanno gettato la spugna ci rimangono viaggiando al “minimo”).

A volte, invece di cercare i talenti da fuori, sarebbe sufficiente riuscire a cambiare la mentalità e cercare di cercare laddove prima non eravamo abituati a guardare (come ha fatto l’esercito iraniano).

Perchè in fondo il talento è più diffuso di quello che si pensa: basterebbe andarlo a cercare con lenti nuove (come faceva Nolan Bushnell, fondatore di Atari e protagonista del mio speech al Tedx Empoli “come riconoscere un talento”)

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