Non parlarmi, non ti sento: 4 indicazioni per provare a non essere archiviati come “spam”

Perché non veniamo ascoltati anche se siamo buoni comunicatori… (per aziende, manager e persone)

Che si parli di organizzazioni governative, aziendali o semplicemente di una comunicazione all’interno di un team di lavoro, molto spesso si verifica un disallineamento fra i messaggi che si vogliono divulgare e ciò che effettivamente “arriva” agli interlocutori.

Questo succede non solo perché manca il tanto pubblicizzato “ascolto empatico” da parte di chi parla.. ma anche perché è diminuita la ricettività media di chi ascolta..

In meno di 20 anni siamo passati dallo spendere energie per cercare le informazioni, a doverle spendere per evitarle e non esserne sopraffatti.

Siamo passati da qualche telefonata al giorno (prima via cavo, poi via “mobile”), a centinaia di mail, SMS, Whatsapp, gruppi, chat e social aziendali e non..

Chi ascolta non è più qualcuno che “non vede l’ora di ricevere informazioni” ma si è trasformato in qualcuno che seleziona accuratamente quello che gli viene detto per evitare il “burn out”.

Non considerare questo aspetto (dettato dal cambio di contesto), produce il risultato di indirizzare ciò che si vuole comunicare direttamente verso la cartella “spam” del cervello di chi ascolta… che siano colleghi, dipendenti, collaboratori o “amici”.

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La comunicazione dal XX al XXI secolo è cambiata radicalmente: in poco più di 20 anni siamo passati da pochi canali televisivi e qualche giornale ad una sequela di social, centinaia di canali informativi e decine di testate giornalistiche online.

Aziende, istituzioni ed organizzazioni continuano a divulgare notizie, informazioni, missive come se ci fosse un pubblico ricettivo a recepirle..

Noi stessi quando vogliamo dare un messaggio siamo abituati a dare la priorità al contenuto dello stesso senza dare prima la precedenza agli interessi ed ai punti di attenzione del destinatario.

Chiunque faccia comunicazione a qualsiasi livello (quindi anche noi come professionisti ed individui), commette spesso l’errore di inviare messaggi senza considerare che questi vengono recepiti da persone che “hanno già fatto il pieno”..

Continuiamo a perseguire una logica “push” (in cui scriviamo qualcosa e clicchiamo “invia”) invece che una logica “pull” (in cui attiriamo prima l’attenzione della nostra controparte).

Parliamo eccessivamente trascurando che noi stessi siamo poco ricettivi a causa dei continui stimoli provenienti da comunicazioni di ogni tipo: migliaia di notifiche, messaggi, pop-up, e-mail ed informazioni di ogni genere che diminuiscono la nostra capacità di ascolto in un meccanismo di autodifesa che il nostro cervello mette in atto per riuscire a sopravvivere fino a fine giornata.

Questo problema non riguarda solo i media o le organizzazioni ma anche semplicemente il rapporto fra due persone (che siano colleghi, collaboratori o familiari).

Ascoltiamo sempre meno e tendiamo a parlare sempre troppo, trascurando che quando si ricevono troppi input, i nostri interlocutori applicano le stesse dinamiche che applichiamo noi per difenderci dall’eccesso di informazioni: ovvero buttano tutto in “spam”.

Indipendentemente dal nostro ruolo (di professionisti, persone, aziende, organizzazioni, onlus, colleghi o collaboratori), oltre ad impegnarci ad ascoltare sarebbe buona norma cominciare ritarare la nostra comunicazione considerando come è strutturata la nostra quotidianità… fatta di entropia, rumore ed eccessi di informazioni indesiderate..

Per far questo, puntando ad essere ascoltati e non semplicemente “sentiti”, possiamo cercare di:

  1. inviare messaggi considerando la reale capacità ricettiva dell’interlocutore, assicurandosi che il contenuto che si condivide muova qualche interesse diretto od indiretto di chi ascolta;
  2. Parlare in modo da ingaggiare la nostra interfaccia non solo attraverso la qualità dei contenuti ma anche attraverso il modo di presentarli o rappresentarli: lo stile va sempre adeguato al contesto ed a chi “riceve”(in modo da “predigerire” le informazioni che gli stiamo dando prima di pretendere di riempirgli uno stomaco già pieno);
  3. Cercare lo scambio secondo il “principio di reciprocità”: qualsiasi cosa deve produrre valore per chi la ascolta ovvero deve essere utile a “migliorarlo” o a dargli spunti che lo spingano verso un’azione o una direzione in cui egli stesso trovi “utilità”. Qualsiasi tipo di comunicazione efficace presuppone fiducia e reciprocità… se non c’è uno o l’altro il messaggio va in “spam”;
  4.  Andare dritti al sodo: l’eccesso di input porta a considerare solo ciò che è sintetico, lineare, preciso e tarato… tutto il resto fa perdere tempo e non arriva. Una riunione che potrebbe durare 15 minuti e che dura un’ora fa perdere non solo 45 minuti ma anche buona parte dei 15 minuti di “contenuti”. Andare dritti al sodo richiede preparazione e sintesi: molti preferiscono perdere tempo durante le riunioni piuttosto che prepararle prima e risparmiare tempo per sé e per gli altri. Ma essere prolissi in un mondo veloce è come suonare una nota sbagliata in un concerto jazz e denota una mancanza di rispetto tipica di chi finisce nella cartella più indesiderabile della posta elettronica..

In conclusione

L’eccessiva disponibilità di piattaforme ed informazioni ha creato un’entropia tale da costringere chi parla ad alzare il livello della comunicazione (e ad abbassare quello della voce)…

Continuare a comunicare dando per scontato l’ascolto senza verificare che chi ci sta davanti sia in grado di recepire, può rappresentare un enorme spreco di energie e di risorse sia per chi parla sia per chi ascolta (oltre a far perdere una credibilità che è molto difficile recuperare..).

Nel XX secolo vinceva chi parlava di più e chi “urlava più forte”… ma come disse qualcuno “quando tutti urlano non vince chi urla più forte ma chi sa parlare all’orecchio”… e visto che pochi lo fanno, vale la pena prenderlo in considerazione… anche solamente per non essere catalogati com “spam”..

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