Nella puzzle dell’intelligenza emotiva, l’empatia è solo uno dei pezzetti..

In un mondo sempre più globalizzato ed in continuo cambiamento, avere la capacità di ascoltare gli altri e comprendere il loro punto di vista è un “asset” fondamentale.

L’empatia è una qualità sempre più ricercata dalle aziende: fa parte delle soft skills ed è tendenzialmente una caratteristica di base di una persona.

La buona notizia è che può essere sviluppata… la cattiva notizia è che da sola non basta..

Molte persone empatiche si lasciano guidare dalle emozioni altrui ed è per questo che, per avere un buon equilibrio, l’empatia deve essere corredata da un po’ di “sincera astuzia” e da un pizzico di “sano cinismo”.

Un proverbio dice “fidati ma verifica”…. declinandolo opportunamente si potrebbe dire “sii empatico ma con grano salis”…

Insomma, in un ipotetico puzzle dell’intelligenza emotiva, l’empatia rappresenta un singolo pezzo che deve incastrarsi con altri elementi quali la razionalità e la capacità di rielaborare il sentore altrui traducendolo in un piano di azione.

Empatia e raziocinio sono pezzi che vanno a braccetto ma che sono difficili da incastrare: il primo rappresenta la parte puramente emozionale mentre il secondo rappresenta quella razionale (che dà un ordine ed un senso più ampio alle cose).

Essere intelligenti emotivamente vuol dire ascoltare attivamente ma anche essere sufficientemente lucidi da non permettere alle emozioni altrui di guidare le proprie azioni: vuol dire recepire il contributo degli altri ma anche saperlo tradurre in piani concreti a beneficio dell’obiettivo comune.

In conclusione l’empatia da sola va bene se si fa parte di una onlus: per organizzazioni “profit” è fondamentale anche la capacità di analizzare, sintetizzare, razionalizzare e guardare al contesto nella sua globalità in modo da prendere decisioni consapevoli per il bene collettivo.

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