Come capire la cultura di un’azienda, entrando in un negozio.. (e raccogliendo un po’​ di indizi)

Passeggiata di Viareggio: entro in un negozio di una catena di abbigliamento multinazionale e decido di acquistare un giacchetto.

Mi accolgono due commesse di cui una ha la mascherina a “mezzo tiro” (portata con il naso scoperto).. si capisce subito dalla parlantina che ostenta che lei è “a capo” del negozio mentre l’altra è una collaboratrice alle prime armi.

Indizio numero uno: si tiene poco alla sicurezza dei propri clienti e dei propri colleghi…

Mi dirigo con decisione verso l’espositore e noto che la “store manager” mi segue con fare insistente.

Scelgo un capo in ecopelle in 30 secondi netti e nonostante mi diriga con decisione verso la cassa, dopo un istante vedo che lei mi supera con un capo in vera pelle, proponendomelo senza esitazione.

“Poi ci sarebbe anche questo… è in pelle vera e sa com’è..” (con fare ammiccante) “..la pelle vera è un’altra cosa..”

Peccato che io non avessi dato alcun segno di incertezza che potesse dare adito a pensare che volessi acquistare un capo che costasse il triplo rispetto a quello che avevo già scelto…(in 30 secondi)

Secondo indizio: manca la formazione adeguata per riconoscere la tipologia di cliente (oppure si applicano strategie aggressive di vendita)

“Rifiuto l’offerta e vado avanti”: la commessa mi accompagna gentilemente alla cassa per pagare l’articolo che avevo scelto.

 Il giacchetto viene imbustato con pacatezza dalla sua collega junior, che invece di concentrarsi a fare bene il pacchetto, cerca con lo sguardo un cenno di approvazione (o meglio di mancata disapprovazione) della sua responsabile.

Terzo indizio: i dipendenti non si sentono sicuri di poter sbagliare..

Vicino alla cassa noto che c’è un cartello con scritto in grande “15% di sconto” (se fai una tessera di fidelizzazione).

Non essendoci altre clausole bene in vista, chiedo se posso usufruire dello sconto per il mio acquisto.

Quasi sorpresa per quella mia sciocca domanda, la capo negozio mi risponde che lo sconto è valido sui prossimi acquisti a partire da due giorni dopo (quando mi arriverà per mail un fantomatico “codice” di benvenuto digitale… che generalmente è istantaneo ma che in questo caso viene “partorito” dopo 24/48 ore)

Quarto indizio: la tessera di fidelizzazione non ha lo scopo di fidelizzare (ma quello di spingere un cliente a tornare per un secondo acquisto facendo pagare il primo a prezzo pieno..)

Decido che non vale la pena svendere i miei dati per fare una tessera ed ottenere uno sconto di cui usufruire “non si sa quando” e mi accingo a pagare il prezzo pieno del mio capo.

Cercando di mettere in pratica un po’ di “soft skills”, col sorriso sulle labbra ed una pacatezza degna di Ghandi, faccio notare ad entrambe le commesse l’apparente contraddizione fra quella regola ed il concetto di “fidelizzazione di un nuovo cliente”.

La commessa più giovane, non sapendo se era autorizzata a parlare, mi sorride cercando (senza riuscirci) di non farsi notare.

La capo negozio prima fulmina lei con uno sguardo, poi si rivolge a me argomentando: “è sempre stato così”..

Quinto indizio: non c’è interesse a rinnovarsi…

Il silenzio è uno dei trucchi più potenti che si possono utilizzare con chi è abituato a parlare senza ascoltare gli altri: rimango volutamente in silenzio per qualche secondo fino a che lei prosegue: “lo fanno anche tutti gli altri”

Sesto indizio: non c’è interesse a prendersi la responsabilità delle proprie scelte commerciali…

Rimango ancora in silenzio e puntualmente dopo qualche secondo la commessa prosegue:

“Ma almeno noi facciamo lo sconto, da altre parti non lo fanno”

Settimo indizio: si butta fango sulla concorrenza..

Proprio non ce la fa a trattenersi: continua a parlare senza ricevere un feedback.

Ottavo indizio: non si ascoltano nè le parole nè i silenzi dei propri clienti..

Ringrazio ed esco dal negozio… per poi tornarci 10 minuti dopo perchè la commessa junior non aveva tolto l’anti-taccheggio (ed il loro sistema non aveva suonato).

Riconsegno il capo alla malcapitata mentre la capo-negozio la guarda con aria di disprezzo e malcelato disgusto…

Nono ed ultimo indizio: si riversano le proprie frustrazioni sui collaboratori…

Si può obiettare che la protagonista di questa storia abbia avuto una brutta giornata, che sia pagata poco (pur essendo “store manager”) o che sia soggetta a pressioni di vario genere.

La verità è che queste persone vengono scelte e valutate: subiscono un processo di recruiting e della formazione e scelgono di rappresentare nella forma e nella sostanza l’azienda che dà loro lo stipendio e che le guida nel modo di operare quotidiano.

La morale è che c’è una co-responsabilità fra chi dà le direttive e chi le esegue: le persone possano sempre decidere come interpretare il proprio ruolo e possono sempre fare altre scelte se non ritengono giuste le regole che l’azienda gli impone .

Viceversa le organizzazioni hanno la più grande responsabilità: quella di verificare che i loro rappresentanti incarnino la propria cultura.

Al di là del giudizio di merito sulla vicenda specifica, è evidente come la cultura di un’azienda venga inevitabilmente trasmessa da coloro che ne fanno parte…. e che come il semplice gesto di entrare in un negozio possa darne lampante evidenza..

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